Le Firme di TRISTE© – Top 5 2016

lefirmeditriste2016Io (Vieri), e Giacomo, anni fa abbiamo iniziato questa bella avventura chiamata ironicamente (ma non troppo, vista la mia presenza…) TRISTE©.

Ma le cose belle sono fatte per essere condivise. E noi abbiamo trovato una ottima compagnia.

Piano piano, nuovi amici si sono aggiunti alla “redazione” e sono diventati parte integrante di questo blog che non vuole semplicemente proporvi le più interessanti novità musicali e le nostre scoperte, ma raccontarvele attraverso le nostre impressioni e la nostra quotidianità.

Come gli altri anni, io e Giacomo ci siamo riservati il “piacere” di proporvi una classifica estesa di 10 album, che troverete nei prossimi giorni su queste pagine.

Intanto, potete leggere qui le top 5 delle nostre prestigiose firme (in ordine alfabetico, per non far torto a nessuno), che immagino abbiate ormai imparato a conoscere tramite le loro appassionate recensioni.

Francesco Amoroso

5. Lawrence Arabia – Absolute Truth Gli album di James Milne li ho sempre apprezzati senza mai esserne troppo coinvolto. Invece questo “Absolute Truth”, ignorato praticamente da tutti, mi è entrato in profondità nel cuore. Sarà perché le tematiche prevalenti del quarto album del neozelandese mi sono molto care: riflessioni sulla giovinezza e sull’incoscienza di quel periodo della vita visto, con il senno di poi, come un’occasione persa per eccesso di menefreghismo e arroganza, i cambiamenti causati dalla nascita del suo primo figlio e l’eterna lotta tra l’amore per il pargolo e la disperazione per la libertà persa, la consapevolezza della vanità della vita e, allo stesso tempo, della sua assoluta bellezza. Il tutto enunciato grazie a brani pop perfetti, caratterizzati da romanticismo dandy, suoni sixties (e seventies), giochi di parole arguti e a volte brutali e colate laviche, cascate, valanghe, della mia amatissima agrodolce nostalgia. Canzone preferita: Another Century

4. Modern Studies – Swell To Great A volte capita di imbattersi in qualcosa di bello e inaspettato. E, proprio perché inaspettato, ancora più bello. È il caso dell’esordio di questo quartetto scozzese, nato intorno al talento della cantautrice Emily Scott e del geniale polistrumentista (e, a sua volta, autore) Rob St. John. In “Swell To Great” ci sono dodici brani toccanti e pensierosi, tra chamber pop e folk classico. Lla voce melodiosa e accattivante della Scott trasmette brividi e emozioni e l’album è un concentrato di sobria gioia e pacata brillantezza cui il ricchissimo tessuto armonico, ottenuto grazie alla ricercata strumentazione e alla cura certosina per ogni particolare, conferisce un’aura di fragile vitalità, che culmina spesso in abbagliante bellezza sonora. Canzone preferita: Ten White Horses.

3. Josienne Clarke & Ben Walker – Overnight Il terzo album (primo per la Rough Trade) del duo “folk” Josienne Clarke & Ben Walker è un viaggio sonoro nei sentimenti più delicati e profondi dell’animo umano. In Overnight, che esalta la straordinaria vocalità di Josienne e le prodigiose capacità chitarristiche e di arrangiatore di Ben, i due inglesi hanno affiancato un’estrema grazia nell’esposizione che li conferma nella loro classicità, ma ne esalta le doti e la personalità. Mi sono spesso perso nelle note di questo album magnifico, e alla luce di brani di assoluto valore come The Waning Crescent, Something Familiar o Sleep, appare evidente come la definizione di “folk” sia riduttiva per due musicisti così ispirati e appassionati. Canzone preferita: The Waning Crescent.

2. The Yearning – Evening Souvenirs Evidentemente il 2016, anno pessimo sotto tanti aspetti universali e personali, mi ha spinto a rifugiarmi sempre più nel privato e nei sentimenti. E così tutti gli album che ho amato di più sono intrisi di romanticismo e introspezione: non fa eccezione “Evening Souvenirs”, il nuovo lavoro di The Yearning,, l’incantevole progetto dell’inglese Joe Moore che grazie a meravigliosi arrangiamenti, alla perfetta voce di Maddie Dobie e al suo alone romantico e notturno, è il mio disco pop dell’anno. Un album intenso e raffinato che, profondamente debitore dei sixties, penetra sottopelle e lì indugia, pronto a riemergere ogni qual volta la musica sembrerà avervi voltato le spalle. Canzoni preferita: The Moment Your Heart Would Say Goodbye.

1. Weyes Blood – Front Raw Seat To Earth Non occorrono spiegazioni particolari: il nuovo album di Natalie Mering è semplicemente quello che, più di ogni altro quest’anno, mi ha coinvolto e emozionato. Anche commosso direi. Sarà che dopo Cardamom Times, l’e.p. dello scorso anno, aspettavo con trepidazione la sua uscita; sarà perché ho cominciato ad ascoltarlo d’estate e non ho mai smesso; sarà perché i suoi passaggi più lirici e struggenti li ho cantati in macchina a squarciagola (per fortuna quasi sempre mentre ero solo), ma è decisamente questo il “mio” album dell’anno. Le chitarre acustiche, i delicati arpeggi pianistici, l’organo, i fiati e una serie di impalpabili diavolerie elettroniche, fanno da paesaggio alla vera protagonista dell’album: la sublime voce di Natalie Mering che si libra, plana, mi culla, mi scuote, mi commuove. Canzone preferita: Do You Need My Love?

 

 

Giulia Belluso

5. The Magnetic North – Prospect Of Skelmersdale La trascendenza di questo disco mi accompagna nelle mie giornate “no”. Questo disco, difficile da definire, riesce a dare malinconia, spiritualità, vivacità e speranza attraverso la bellissima voce di Hannah Peel.

4. Agnes Obel – Citizen Of Glass La genialità di questo disco sfrutta appieno il tema del vetro, incapsulandolo in un suono che sembra essere poesia per le orecchie.

3. Michelle Gurevich – New Decadence La parola che mi viene in mente è passione! Ogni volta che ascolto la voce di questa fantastica cantante rimango stupefatta ed estasiata, ricordando (o forse solo sognando) una bellissima storia d’amore, iniziata guardando un semplice film.

2. Nick Cave and The Bad Seeds – Skeleton Tree Il dolore, l’emozione, l’empatia e il senso di perdita emergono tutte attraverso il canto di disperazione, che sembra essere più emotivo e nostalgico del solito. Il disco, come il film (One More Time With Feeling), sono due perle che una ragazza TRISTE© come me non poteva non amare.

1. Emily Jane White – They Moved In Shadow All Together E’ proprio vero: la prima review non si scorda mai. La serica voce delle White, il suo folk-rock crepuscolare e le tematiche contro violenza, malattie e oscurità riescono a catturare tutta la mia attenzione.

 

 

Albert Brändli

5. Hope Sandoval & The Warm Inventions – Until the Hunter Sacro e Profano. Giorno e Notte

4. The Magnetic North – Prospect Of Skelmersdale La colonna sonora perfetta per chi vuol mettere ordine ai propri ricordi.

3. David Bowie – Blackstar Niente può impedire di spingerci oltre il limite, se spinti dalla  passione. Nemmeno la morte può farlo.

2. Daughter – Not To Disappear Questo disco è come la gemma da incastrare all’anello che porterai per sempre al dito.

1. Nick Cave and The Bad Seeds – Skeleton Tree Religioso, intimo e struggente. Un viaggio nella mente del “cantautore” che ha fatto della propria esperienze di vita una musa ispiratrice dei propri racconti, tradotti in musica e parole. Ennesimo capolavoro.

 

 

Emanuele Chiti

5. Angel Olsen – My Woman Si sapeva che sarebbe diventata “una cosa grande”, ma Angel Olsen si supera con My Woman, un’analisi dell’essere donna oggi in un contesto che va dal classico rock a sonorità più ammiccanti al pop e al cantautorato di assalto alla Patti Smith dei bei tempi. Meraviglioso.

4. Skepta – Konnichiwa In un mondo rap dominato dalla trap e da tendenze più “modaiole”, Skepta porta in auge di nuovo the real thing, direttamente da East London, calando la dimensione hip hop nelle sonorità digitali del nuovo secolo, seguendo la lezione passata di Cannibal Ox, Antipop Consortium o del grime tanto in voga nella prima metà anni zero.

3. Radiohead – A Moon Shaped Pool Per quanto vada a riprendere tracce che datano indietro nel tempo (True Love Waits su tutte), A Moon Shaped Pool è un manifesto di come debba essere scritto, arrangiato e prodotto un disco che ambisca a diventare una pietra miliare. Non cambierà la vita delle persone come The Bends, Ok Computer o Kid A ma l’ultimo Radiohead si avvicina alla perfezione, quasi una summa di quanto fatto dalla band di Oxford dal 1991 ad oggi, lamentando soltanto un paio di giri a vuoto che si perdono in un mare di bellezza.

2. Nick Cave & The Bad Seeds – Skeleton Tree Il lutto stavolta piomba involontariamente all’interno del mood dell’ultimo disco di Nick Cave. Strutture quasi lineari, a seguire le atmosfere eteree di Push The Sky Away, per un disco straziante che vede sullo sfondo la morte del primogenito di Cave. Girl In Amber, I Need You, Distant Sky, la title track sono già dei classici della nuova produzione dell’artista australiano di stanza a Brighton.

1. David Bowie – Blackstar Il canto del cigno dell’uomo che ha rivoluzionato il modo di concepire la trasformazione nel rock, nel glam, nella new wave. Un’eredità infinita che non poteva che essere suggellata da un ultimo capolavoro, uscito proprio tre giorni prima della sua morte. Un evento che ha donato ancora più intensità a Blackstar, con le note finali infinite di I Can’t Give Everything Away che ci assicurano che l’uomo dello spazio resterà per sempre con noi.

 

 

Marica Notte

5. Plantman – To The Lighthouse C’è una piccola barca di legno; ci sono due remi appoggiati alla parete rocciosa; c’è un gabbiano che controlla e cerca di capire cosa fare; c’è una scaletta che serve per salire ed arrivare al faro. Ci sono poi due stradine ed entrambe portano in un unico luogo: il faro con accanto una piccola casa. Il disegno in copertina dell’ultimo lavoro targato Plantman è una fedele anticipazione del disco, perchè in quel paesaggio ancora sincero e quasi dimenticato dagli uomini c’è come la voce, delicata e adulta allo stesso tempo, di Matthew Randall che dona vita al mare e agli uomini. Come le memorie di un guardiano del faro.

4. Mutual Benefit – Skip A Sinking Stone Per me Mutal Benefit significa Liguria ad Agosto, o meglio quel breve tratto di autostrada che va dal casello di Carrara a quello di Sarzana, e poi le stradine interne che portano un pò a Lerici e un pò a Tellaro. Saranno sempre i miei compagni di viaggio, che canticchio (con notevoli stonature e parole inventate – ma non stile sotto la doccia) assaporando la salsedine sulle labbra e l’odore del Tirreno nei capelli.
La loro musica è intelligente e grigia come il cielo d’Inghilterra.

3. Mitski – Puberty 2 Di solito ascolto altri tipi di musica. Ma lei è la mia tipa. C’è qualcosa nel nome di Mitsky (ignoto a me fino a qualche mese fa) che sa di strano: sarà forse la continua mescolanza di suoni folk-rock-punk, saranno i bellissimi testi come piccoli resoconti di storie americane, sarà la suo voce troppo grande per un corpo così minuto, sarà la “contraddizione” degli elementi a fare di Puberty 2 una dose di cura quotidiana. Anche se continuo a non capire come sia possibile per me. Perché è evidente che al mio corpo piace molto e la mia testa si muove in sù e in giù, soprattutto nelle lunghe entrate di suoni elettrici.

2. Keaton Henson – Kindly Now “Be kind Derek”. Era la frase di chiusura ad ogni breve colloquio della vecchietta consigliera di Derek (serie bellissima e dolce di Ricky Gervais). Essere gentili è complicato anche per i cuori più generosi e per le menti più brillanti. Ma credo sinceramente che ascoltando Kindly Now Henson renda il tempo dell’ascolto una meditazione profonda su ricordi, speranze, vittorie e sconfitte, che può portarci ad essere qualcosa in più rispetto a tutto quello che già siamo stati. Diventiamo più gentili non solo a Natale (nonostante a Natale si possa amare di più).

1. Marissa Nadler – Strangers Il mondo è pieno di musica. E non parlo solo di vinili, gruppi, concerti. Parlo di suoni. Il mondo si esprime in suoni, in melodie (gli uccelli cantano, il vento fischia, la pioggia scroscia e così per tantissime altre “cose”). E poi ci siamo noi umani a rendere tutto il più armonioso possibile. Pascal diceva “che il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce” (frase ormai banalizzata e trend da bacio perugina). Ed è vero in questo caso: la ragione non può spiegare perché Marissa Nadler riempia il mio cuore di melodie passate e vere. Se i suoni potessero parlare la luce esploderebbe.

 

 

Sara Timpanaro

5. Ulrika Spacek – The Album Paranoia Riprendo le ultime parole della review di questo disco, perché ancora fermamente convinta che la musica possa essere la salvezza in alcune situazioni difficili: il termine “paranoia” è una parola greca che significa follia, sconvolgimento della mente, ed è stato un termine largamente usato e studiato in psichiatria e in psicologia, e trovo che sublimare tale disturbo del pensiero in bellezza pura per le nostre orecchie, sia terapeutico.

4. Angel Olsen – My Woman Angel Olsen scrive in My Woman una lettera aperta alla dualità femminile, contrassegnata da luci e ombre. Le donne lo sanno, anche se a volte fanno un po’ le “gnorri”. Lei stessa dice che l’album può essere diviso in lato A e lato B: uno più luminoso e caotico, l’altro più riflessivo. Siamo fatte così noi donne, sempre divise in due, in una lotta continua e in un conflitto aperto con la nostra natura selvaggia, irrazionale e l’altra materna, accogliente.

3. MAKAI – Hands Il corpo precede la parola, e spesso riusciamo ad esprimere meglio le nostre sensazioni ed emozioni attraverso di esso. Le mani principalmente hanno molteplici significati: possono accogliere o respingere, minacciare o benedire, possono indicare oppure arrestare un movimento. Dario Tatoli, con il suo moniker MAKAI, ha allungato le sue mani per accogliere e sicuramente per rappresentare un progetto musicale davvero intenso. Allungate le mani e fidatevi di lui.

2. Birthh – Born In The Woods Alice Bisi con il suo progetto BIRTHH si è dimostrata quest’anno come una delle migliori rivelazioni del 2016. Non c’è altro da aggiungere direi.

1. Inude – Love Is In The Eyes Of Animals La prima volta che ho ascoltato questi ragazzi è stato per puro caso ad ELEVA, Festival nella splendida cornice della città di Reggio Emilia, a Settembre. Sono rimasta letteralmente rapita dalla magia della musica di questo duo pugliese, che ha dimostrato di avere una grande passione per la musica elettronica. Reputo questo album un oggetto prezioso da tenere tra la propria personale collezione di dischi, perché questi giovanissimi ragazzi hanno dimostrato di avere un grande talento.

 

 

Peppe Trotta

5. A. Dyjecinski – The Valley of Yessiree Una voce calda e profonda alle prese con confessioni umbratili dense di inquietudine. L’esordio del cantautore canadese è un disco di grande intensità e bellezza pieno di ottime canzoni tra cui spicca la sontuosa The Fight.

4. Gareth Dickson – Orwell Court Ci ha impiegato quattro anni per tornare dopo averci regalato il meraviglioso Quite A Way Away, ma l’attesa è stata ben ripagata. Ancora una volta il chitarrista scozzese ci incanta con il suo songwriting etereo e vibrante fatto di cascate di note tra cui si incastra la sua flebile ed intimista voce.

3. Brave Timbers – Hope Una luminosa e calda quiete si irradia dagli undici splendidi bozzetti cesellati da Sarah Kemp in collaborazione con Andrew Scrogham. Un viaggio attraverso paesaggi sonori di rara bellezza immersi in un’atmosfera magicamente appagante.

2. Western Skies Motel – Settlers Ambientazioni permeate da una vena romantica riecheggiano la sconfinata e polverosa vastità dell’ovest americano attraverso un picking in bilico tra trame dolcemente torrenziali e divagazioni contemplative. René Gonzàlez Schelbeck si conferma con Settlers uno degli artisti più interessanti ed ispirati in circolazione. Un piccolo capolavoro.

1. Keaton Henson – Kindly Now Ancora una volta Keaton Henson trae linfa creativa dal suo tormento interiore e lo fa senza scadere in schemi consolidati e ridondanti. Se il suo stato d’animo inquieto è capace di regalarci tanta emozione viene istintivo augurarsi egoisticamente che esso perduri ancora a lungo. Un lavoro di rara intensità di fronte al quale solo un animo arido può rimanere indifferente.

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