Vorrei prevenire ogni vostro possibile dubbio, ogni vostra lamentela: lo so anche io che non si scrivono recensioni in un momento di rabbia, né sull’onda dell’indignazione. Non l’ho mai fatto, ma spesso ne ho avuto la tentazione.
Questa volta, però, facendo mio l’arcinoto adagio di O. Wilde, secondo il quale si può resistere a tutto ma non alle tentazioni, mi lascio andare.
E’ da qualche settimana che in rete si parla del giovane francese Raoul Vignal. E se ne parla piuttosto bene. All’Attimo Fuggente uno dei suoi brani l’abbiamo scelto come singolo della settimana e le recensioni che si trovano in giro sono tutte piuttosto positive.
Qual è il problema allora, direte voi?
Il problema, quello che davvero mi fa uscire dai gangheri è che i commenti degli ascoltatori, spesso occasionali, sono davvero irritanti: “Non è originale”, “Assomiglia troppo a Nick Drake”, “Ma è un album dei Kings Of Convenience”. E così via.
Ora, a prescindere che ognuno può avere le proprie opinioni e i propri gusti (anche se naturalmente possono essere anche gusti di melma), ciò che davvero mi irrita (e che mi ha portato a scrivere la mia prima recensione trasportato da un sentimento sbagliato) è la superficialità e la fretta con cui certe sentenze vengono sputate.
Tutti i musicisti (e Raoul Vignal in particolare) non meritano questo atteggiamento, il loro lavoro è degno di rispetto e attenzione.
Raoul ha 26 anni e il suo album d’esordio The Silver Veil, uscito da pochissimo per la francese Talitres, dimostra uno stile raffinato e intenso, una ispirazione profonda, nostalgica e personale. A plasmare le dieci composizioni originali del lionese ci sono la sua voce carezzevole ed emotiva e un delicato (e molto elaborato) fingerpicking, giocato su accordature alternative.
Sarebbe davvero disonesto da parte mia sostenere che la sua proposta musicale non sia influenzata da Nick Drake (per quanto, invece, con i KoC ci siano pochissimi punti di contatto se non l’espressione vocale alquanto affine a quella di Eirik Glambek Bøe), ma sarebbe quasi affermare l’ovvio.
Chiunque si avvicini al folk acustico di matrice britannica avrà molto probabilmente come riferimento Nick Drake (potrebbe averne altri, ma il discorso cambierebbe poco). Ciò che si chiede ad un artista folk, del resto, non è necessariamente l’originalità, ma la capacità di scrivere canzoni, di elaborare storie e sentimenti, di coinvolgere l’ascoltatore e trasmettere, spesso con una strumentazione scarna e arrangiamenti ridotti all’osso, le proprie sensazioni, la propria interiorità.
Cose che Raoul Vignal fa in maniera egregia.
Basterà ascoltare l’ariosa ed evocativa Hazy Days, perdersi nella cullante Dona Luna e nella lieve e accorata Bless You o lasciarsi ipnotizzare dall’intricato fingerpicking della title track per comprendere che giudicare un musicista folk in base ai suoi riferimenti o alle sue assonanze è un esercizio sterile e del tutto inefficace.
Nelle canzoni di Raoul c’è molto della sua personalità, della sua giovinezza e fragilità e con la sua sensibilità il francese riesce, attraverso brani dalla costruzione semplice e dall’impatto immediato, a trasmettere tutto ciò. The Silver Veil è l’album di un giovane artista dal grande talento e dal grande cuore che, onestamente e consapevolmente, lascia ad altri la necessità di essere originali e sperimentali.
Raoul vuole solo parlarci di lui (e parlando di lui, parlarci di noi stessi) e non dovremmo fare altro che ringraziarlo per questo. Invece, da quando avere una connessione internet equivale ad avere un master in ogni ambito dello scibile, non facciamo altro che sentirci dire quanto Tizio assomigli a Drake o Caio a Dylan (o Sempronio a Cohen, anche se Cohen, nella sua unicità, è un riferimento spesso meno evidente), perdendo di vista il punto focale: la musica, il songwriting (so bene che oramai le canzoni e i testi contano pochissimo rispetto all’attitudine e al sound, ma combatto sempre battaglie di retroguardia).
Per fortuna esistono ancora artisti come il giovane Vignal che, andando per la propria strada con sincerità e senza alcuna prosopopea, riescono a calmarmi, a riconciliarmi con il presente, e a ricordarmi che solo con l’ingenuità di un bambino si entra nel regno dei cieli.
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