Benjamin Clementine @Auditorium Parco della Musica – Roma, 25/07/2017

Marica Notte per TRISTE©

D’un tratto il vento sta portando nuvole sul cielo di Roma (chissà prima dov’erano), ma sembra quasi che non ci sia del tutto la voglia di lavare questa città sporca di delusioni.

Si mescolano, al tumulto della frenesia, le note di non so bene chi, emesse dalla radio di una macchina parcheggiata in sosta vietata (dalla finestra di casa riesco a vedere buona parte della via). Ma in strada tutto è permesso: è concesso trasformare e ribaltare i permessi in divieti, il legale in illegale, il visibile in invisibile, la parola in mimo e il mimo in occhiate sfuggente.

Sulla strada porzioni di mondo abitano senza dare troppo nell’occhio. Ci sono individui che vivono solo con il cielo (con le mattine e le sere, le primavere e gli inverni) sulla testa, e forse con speranze che nutrono in realtà la consapevolezza di un presente che non ha intenzione di mutare.

Ma a volte la strada è davvero un punto di partenza per arrivare chi sa dove, e Benjamin Clementine è arrivato a Roma partendo da lontano.

Nel fisico, nelle mani, nei piedi nudi, nei capelli, negli occhi, nelle corde vocali e nel nome di Benjamin Clementine (londinese di nascita poi per il resto socraticamente cittadino del mondo) ci sono i racconti vissuti per le vie europee, ci sono versi degni dei poeti d’altri tempi che sapevano dire l’essenza in qualche rima e suoni in equilibrio tra il classico e il moderno.

Ero un po’ distratta nell’attesa che il concerto (uno dei tanti nella rassegna Luglio Suona Bene all’Auditorium Parco della Musica) iniziasse. Seguivo con lo sguardo le persone che tentavano di trovare il proprio posto a sedere (questo è un altro buon motivo per andare all’Auditorium, soprattutto per i pigri come me) quando girando la testa a rallentatore (come la fine della carrellata di una telecamera) ho visto un individuo di cui conoscevo soltanto il nome e di lì a poco gli avrei dato gran parte della mia stima (ed invidia).

A tagliare l’aria le cinque coriste, dando il là con By the Ports of Europe, poi Clementine ci ha trascinato in un vortice senza dimensioni, se non quelle dettate dalla musica di Phantom of Aleppoville e God save the Jungle (come a voler chiamare dio per farsi avanti a Calais, ad Aleppo e in tutti i porti d’Europa), tre degli undici nuovi brani di I Tell a Fly (uscita prevista per il 15 settembre). E la forza, l’energia, il suo guardarci davvero con intensità ci hanno fatto dolere le mani per i teatrali applausi.

Poi è arrivata anche Condolence (e qui Benjamin ci ha insegnato a pronunciare in inglese non-maccheronico il refrain divertendoci amichevolmente insieme, e grazie anche) I won’t Be Complaine, London (ancora lezione di inglese, questa volta con l’aiuto estemporaneo di Carlo Massarini)  e Adios (Cornestone putroppo è stata messa in angolo nonostante le grida di richiesta) estratti dall’eccellente album d’esordio At Least for Now (2015) anticipato dai due EP Cornestone e Glorious.

Non solo Benjamin prova ad insegnare l’Inglese al pubblico romano. Da vero cosmopolita mostra di passare rapidamente dalla lingua madre al Francese, dallo Spagnolo all’Italiano. E proprio della nostra lingua da ottima prova quando, durante il bis, omaggia l’Italia e Lucio Dalla intonando le prime strofe dell’immortale Caruso.

Si percepisce quando un cantante è anche un’artista perché mette in scena l’intelligenza di creare qualcosa di non facile riproducibilità: di certo sarebbe davvero una sfida persa in partenza uguagliarsi all’estensione vocale di Clementine e alla profondità e verità di quello che dice (se si leggono i testi ci si accorge che non esiste linea di demarcazione tra musica e poesia). E poi, ovviamente, il vissuto personale pesa sulla narrativa della propria esistenza.

Sinceramente (e raramente mi espongo direttamente in questo modo) avrei voluto che quella sera lo spazio e il tempo si fossero dimenticati di dover essere anche a Roma perchè avrei tanto voluto continuare ad innamorarmi della bellezza. Ma alla fine la bellezza lascia ricordi e di sicuro Clementine ha in sé il segreto della bellezza.

By the ports of Europe ha aperto e chiuso il sipario della cavea come a voler usare la metafora della partenza e dell’arrivo per dirci che bisogna essere pronti all’accoglienza: ospitando potremmo anche ritrovarci ad ammirare qualcuno che viene da lontano.

Benjamin Clementine io lo vedo un po’ come un poeta e a me i poeti piacciono.
Se fossero tutte così le sere d’estate anche Roma sarebbe più bella.

 

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