Francesco Amoroso per TRISTE©
“At the end of our streets is sunrise;
At the end of our streets are spars;
At the end of our streets is sunset;
At the end of our streets the stars.“
(George Sterling – The City By The Sea)
Non mi so davvero spiegare quello che, ogni tanto, accade in alcune zone del globo: per un periodo più o meno lungo (di solito un lustro, raramente un decennio) cominciano a sorgere spontaneamente una straordinaria quantità di progetti musicali esaltanti, a volte legati tra loro, a volte in maniera del tutto autonoma.
E’ successo a Manchester negli anni ottanta, a Seattle nei novanta, a Bristol, naturalmente a New York in vari momenti. In tutte queste città ci sono stati picchi creativi in periodi piuttosto circoscritti, che hanno portato all’uscita di album importanti, a volte epocali.
Da qualche anno a San Francisco ci troviamo di fronte a un fenomeno simile.
1: 2, il terzo lavoro dei Cindy, registrato durante il lockdown, esce in un momento di fertilissima creatività per la Bay Area e potrebbe essere uno dei vertici assoluti di questo movimento di artisti (tutti in qualche modo collegati tra di loro).
I Cindy sono un quartetto costruito attorno alla voce languida e alla chitarra di Karina Gill (che fa parte anche del duo Flowertown, che da queste parti amiamo alla follia). Dopo un primo LP autoprodotto, che non aveva molto smosso le acque, la band ha realizzato Free Advice, un lavoro magnifico di indie pop sognante e rallentato, che ha riscosso grandissimo successo tra gli appassionati del genere, tanto che dopo essere stato stampato in edizione limitata e solo su cassetta per l’etichetta locale Paisley Shirt Records, è stato presto ristampato in vinile da Tough Love (in Uk) e Mt St Mtn (in US).
In breve tempo, così, Karina Gill e la sua band sono diventati una sorta di next big thing dell’indie pop internazionale.
E pensare che, a quanto racconta lei stessa, Karina è diventata musicista solo da poco, grazie a un “incontro casuale” con una chitarra Squier Stratocaster abbandonata nel seminterrato da un precedente inquilino, “mummificata in nastro isolante con i resti di un burrito sulla tastiera“, che l’ha portata a iniziare a strimpellare semplici accordi e scrivere le sue prime canzoni.
Così, nonostante questo sia già il terzo album dei Cindy (in soli quattro anni di vita), anche in 1:2 è evidente la freschezza, l’ingenuità, la purezza delle composizioni di Karina.
I dieci brani che si susseguono, per un totale di poco più di trenta minuti di musica, sono tranquilli bozzetti sonori, fatti di sentimenti accennati, di linee di chitarra discrete, lente e persistenti, di tastiere che non anelano mai a prendersi il centro della scena, costruiti da trame sottilissime che non si spezzano mai.
La chitarra di Gill rilascia melodie narcolettiche e sussurrate (che richiamano i Velvet Underground più delicati), l’organo le sottolinea rendendole più robuste e oscure, la sezione ritmica porta un accennato movimento, eppure c’è sempre molto spazio tra le note.
A volte il ritmo aumenta un po’ e la chitarra diventa più spavalda – come nella title-track – e le tastiere più brillanti (Party Store), ma non ci si trova mai di fronte a una luce abbagliante.
Le canzoni dei Cindy sono suonate, per riprendere i versi della poesia in epigrafe, alla fine della strada, all’alba o al tramonto, con la nebbia che filtra il sole quasi oscurandolo.
Tra Mazzy Star sotto barbiturici (Lost Dog) e Galaxie 500 in versione lo-fi (la magnifica To Be True) e canzoni come The Common Era o Song 36, nelle quali Karina Gill sembra cantare in stato di dormiveglia, 1:2 trasmette sensazioni contrastanti di conforto e di inquietudine allo stesso tempo.
Parlando del suono dei Cindy è facile imbattersi nell’immagine di una band che suona, in pieno giorno, con le tende tirate e il sole che filtra attraverso le pesanti coltri. E’ un’immagine che riassume, effettivamente, in maniera mirabile la loro idea sonora: i Cindy brillano di una delicata incandescenza, le loro carezze sono sonnolente e appena tiepide eppure riescono a trasmettere calore, se non serenità (ascoltare la commovente My Friend per credere).
1:2 è un album sognante, che lascia storditi e irretiti e le canzoni che lo compongono, se possono sembrare al primo ascolto quasi impalpabili, possiedono un incanto sonoro delicato e persistente. Molto è merito della voce di Karina Gill che, senza mai strafare, quasi di soppiatto, si pianta nella parte più recondita del nostro cervello e non accenna affatto ad allontanarsene.
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