Le firme di TRISTE©: il 2021 di Peppe Trotta

Peppe Trotta per TRISTE©

La fine di un anno è sempre sinonimo di riepilogo e bilancio. Giunti in fondo ci si ritrova a fare conti, valutazioni, a volte buoni propositi e arriva immancabile anche il momento di proporre un resoconto degli ascolti più assidui cercando di mettere in fila i dischi che più ci hanno fatto compagnia. Non una classifica – malgrado mi ritrovi a stilarne, continuo a considerarle pretestuose e poco rilevanti – ma un semplice elenco di itinerari sonori apprezzati particolarmente che andranno a sommarsi a quelli che di anno in anno continuano ad essere presenti.

Come sempre più spesso accade anche il 2021 è stato teatro di ritorni più o meno eccellenti, alcuni giunti inattesi come nel caso degli Arab Strap. As Days Get Dark arriva a ben sedici anni dall’ultima uscita discografica e ci regala il piacere di ritrovare il duo scozzese in splendida forma. Non un riempitivo nostalgico, ma una raccolta matura e convincente di canzoni tutt’altro che marginali all’interno di un percorso artistico imprescindibile per chi ama l’universo indipendente. Di anni per i Notwist ne sono passati sette, ma il loro sfaccettato Vertigo Days è opera altrettanto di rilevo in cui si riversano tutte le esperienze musicali affrontate fin qui dai fratelli Acher. Ancora più breve è il lasso di tempo che porta i Low da Double Negative a Hey What, tanto da non poter parlare di un ritorno quanto piuttosto dell’ennesima conferma di un duo la cui ispirazione appare inesauribile.

A proposito di tempi di produzione lunghi, il 2021 ha visto ricomparire anche artisti abitualmente poco prolifici quali José González con il delizioso Local Valley e Alicia Merz/Birds Of Passage con la grazia algida di The Last Garden, entrambi autori di lavori di buona fattura anche se in gran parte aderenti a stilemi consolidati. È bastato decisamente meno, in termini di stagioni trascorse, a Natalie Jane Hill per dare seguito ad un buon debutto e definire il lessico folk più ampio ed aggraziato – frutto di un prezioso lavoro di collaborazione con numerosi strumentisti – alla base di Solely. Considerazione simile anche se in ambito diverso è applicabile a Luminol, l’album più intimo e riuscito prodotto da Madeleine Johnston come Midwife.

Entrando nell’ambito della ricerca sonora le uscite da menzionare sarebbero ancor più numerose, ma proviamo ad estrapolarne alcune particolarmente interessanti. Christine Ott ha proposto ben tre tasselli di ottima qualità tra i quali spicca il suo quarto disco solista Time To Die, mentre nel novero delle nutrite produzioni della giovane e talentuosa Claire Rousay brilla l’ottimo A Softer Focus. Sono da segnalare poi due preziosi secondi capitoli: l’ambizioso e ben congegnato Eden firmato Luton – progetto condiviso tra Attilio Novellino e Roberto P. Siguera – e l’ammaliante Music For Empty Flats di Martina Bertoni. In chiusura è da citare Ira di Iosonouncane, lavoro al centro di tante discussioni che merita senza dubbio di essere approfondito e qui citato.

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