Francesco Amoroso per TRISTE©
Ho grande timore a scrivere di questa raccolta.
E’ non è solo perché si tratta di un album che ricapitola la storia (oso sperare ancora in fieri) di una band che ho amato moltissimo (forse una di quelle che più ho amato nel decennio che si è da poco concluso), ma anche perché l’uscita è accompagnata dalle note di copertina scritte da John Niven, autore di grande successo e fan di lunga data della formazione di Glasgow, il quale accompagna le canzoni con i suoi ricordi d’infanzia, che hanno come scenario le stesse strade di Irvine dove il leader della band John Blain Hunt ha trascorso i suoi anni formativi.
E le sue note sono perfette, meravigliosamente evocative, struggenti, vivide. Esattamente come la musica dei Butcher Boy.
E allora cosa scrivere, quando qualcuno (ben più titolato) ha già detto tutto e l’ha detto così bene?
L’ideale sarebbe tacere e dare la parola alla musica stessa, ma vorrei, nel mio piccolissimo, poter celebrare anche io i Butcher Boy e magari portarli all’attenzione anche solo di una persona in più perché, vi assicuro, lo meritano. Quindi mi rimbocco le maniche e comincio dall’inizio.
I Butcher Boy arrivano da Glasgow e sono una sorta di collettivo che ruota attorno al cantautore John Blain Hunt, una dozzina di elementi che, durante il periodo che va dal 2007 al 2011 ha inciso tre album, Profit In Your Poetry, Helping Hands e React Or Die, un EP (nel 2012), Girls Make Me Sick, trascurato da questa raccolta, per poi tornare, dopo cinque anni di silenzio, con un nuovo EP nel 2017, Bad Things Happen When It’s Quiet.
Non hanno mai raggiunto un successo planetario -probabilmente anche per l’indole schiva del loro leader- ma certamente l’avrebbero meritato. Quel che è certo, però, è che a livello locale sono stati un punto di riferimento per molti e tanti li hanno amati e seguiti con devozione. Tra questi possiamo annoverare Stuart Murdoch (che ha detto di loro: “I’ve probably seen Butcher Boy more times than any other band in the past two decades. They have been and remain a splendid band – tuneful, poetic and defiantly out-of-date“), lo scrittore Ian Rankin (“Pebbledash poetry and timeless tunes to warm the windblown soul“), il già citato John Niven e Peter Paphides, giornalista musicale e broadcaster radiofonico di lungo corso che, qualche anno fa ha fondato la Needle Mythology, etichetta discografica dedicata sia al lancio di talenti musicali oscuri (Ed Dowie, per esempio) che al recupero e alla riproposizione di band meritevoli che non hanno raggiunto, durante la loro carriera, il successo che avrebbero meritato.
Prima, così, è arrivata la ristampa, curatissima e con un secondo album di B-sides, demo inedite e tracce live, di Heartworm dei divini Whipping Boy (band citata spesso come influenza dai Fontaines D.C., per dirne una), e, qualche tempo dopo, You Had A Kind Face, questa preziosissima raccolta del meglio (a insindacabile giudizio di chi ha fatto le scelte, ma questo è l’unico punto sul quale avrei da ridire: perché, per esempio, tralasciare quel capolavoro minore di Days Like These Will Be The Death Of Me?) dei tre album e dell’Ep dei Butcher Boy che, come bonus, offre addirittura tre splendidi inediti (in cd solamente attraverso il download, mentre con l’album in vinile c’è un 7” pollici) registrati recentemente (Dear John, So Far So What? e Love Is A Fact) e che fanno davvero sperare che la storia della band di Glasgow non si debba declinare solo al passato.
Le canzoni dei Butcher Boy sono composizioni pop letterarie e melodiche scritte, non a caso, da colui che è stato il fondatore dell’amatissima serata National Pop League di Glasgow: il mondo di John Blain Hunt è quello del romanticismo suburbano scozzese raccontato dal post-punk prima e poi esaltato dall’indie pop della metà degli anni ’80.
Non è un caso, così che tra le note delle sue composizioni (composizioni collettive, cui gli altri membri della band contribuiscono in maniera decisiva) si possano sentire gli Orange Juice o gli Aztec Camera, echi dei misconosciuti Trashcan Sinatras o passaggi che ricordano da vicino i ben più noti Belle And Sebastian, ma anche sprazzi della poetica e dell’iconografia dei primi Smiths.
I personaggi che popolano le canzoni dei Butcher Boy sembrano essere usciti da un film della British New Wave, circonfusi dello stesso desolato romanticismo, del medesimo idealismo romantico, della stessa rabbia giovane.
John Blain Hunt non ama molto parlare delle sue composizioni ma, in occasione di questa uscita si è sbottonato un po’ e chi meglio di lui può descrivere queste piccole (solo in termini di tempo di fruizione) opere d’arte? “I’ve never spoken to anyone at length about Butcher Boy’s songs before but, in essence, they come from the tiled corridors of municipal buildings, from dust, lead paint, high windows, from being little. In the context of ‘You Had A Kind Face’, with John Niven’s sleeve notes, with John Walmsley’s photography, with Needle Mythology’s curation, they become something else – something outside of the band, something of another place and time, and something that is hopeful and beautiful.”
Come dicevo all’inizio, quando si ha a che fare con artisti così eloquenti è difficile aggiungere qualcosa.
Potrei dire (citandomi…) che le canzoni dei Butcher Boy sono delicati bozzetti melodici della durata classica da popsong che, con semplicità e freschezza non comuni, incorniciano gli ispirati testi di Hunt e la pacata espressività della sua voce con una ricca varietà di registri strumentali, che trovano la loro centralità negli arrangiamenti a base d’archi e fiati e si mostrano in grado di offrire spunti movimentati grazie a ritmiche brillanti e organi impetuosi, ma probabilmente non aggiungerei nulla.
La raccolta si apre (così come faceva il secondo album della band) con le note di organo e la voce profonda di Hunt che recita: “When I’m asleep, I never dream, I never feel anything”, accompagnata dai malinconici suoni di un mandolino e di un violoncello e bastano queste poche note, per tracciare le coordinate poetiche e musicali dei Butcher Boy.
Difficile, soprattutto in una raccolta, citare solo alcuni brani ma non si può non menzionare Carve A Pattern che, con il suo vivace suono di piano e con una sezione ritmica in gran spolvero, risulta uno dei brani più brillanti del lotto, o You’re Only Crying For Yourself – che contiene un verso che potrebbe spiegare il successo di quaranta anni di pop indipendente: “And you’re crying for yourself, confusing how you feel with how you felt“-, o, ancora, The Day Our Voices Broke, narrazione fluida e sentimentale, resa pulsante e densa di calore umano dal passo disinvolto delle tastiere e dall’appassionato romanticismo di un’interpretazione pacata e al contempo travolgente, la brillantissima Helping Hands e la struggente This Kiss Will Marry Us, brano che si apre con il suono delle onde che si infrangono sugli scogli e il verso dei gabbiani e la voce di Hunt appassionata e romantica che intona “But you look fine on Spanish oranges and wine, you’re far too beautiful and kind for these times”.
Ed è difficile dimenticare anche le magnifiche Storm Warning In Effect e Bad Things Happen When It’s Quiet, entrambe estratte dall’Ep del 2017, con i loro cori da brividi e l’orchestrazione quasi epica, o quei piccoli gioiellini di There Is No-One Who Can Tell You Where You’ve Been e – soprattutto – I Know Who You Could Be, così letterari e così deliziosamente ingenui, gli unici provenienti dall’esordio Profit In Your Poetry.
Infine è doveroso fare cenno ai tre brani bonus, tra i più esultanti e positivi della produzione della band di Glasgow, in particolare So Far So What, canzone efficacissima e semplice, ma dalla nascita travagliata, cui si potrebbe dedicare una pagina a parte: “The three new songs on the EP are in memory of our friend Keith Martin, who died in 2018. Keith was one of the first people I played music with and he was the single greatest influence on me in my adult life. Keith was in love with people and their stories – he understood what you needed in a friend, and he was that friend to you. In 2003, Keith brought So Far So What? to a practice, complete, a tribute to his friend Larry Rhodes who had died in December the previous year. Keith and I didn’t record it at the time; in the weeks before he died, I asked Keith if the band could record the song for him, he said we could, and this is what we did.“
La raccolta si chiude con lo struggente strumentale Every Other Saturday (da Helping Hands) nel quale la maestria della band è inferiore, forse, solo all’emozione che il brano provoca. Ancora una volta, però – a riprova del valore assoluto e della cura estrema di questa raccolta- sono le parole che accompagnano il brano, scritte da Hunt, a commuovere fino alle lacrime. Nel raccontare, con il suo solito dimesso lirismo, la storia della sua famiglia e di suo padre, John ci dice che, dopo un periodo economicamente difficile, all’inizio degli anni 90, la famiglia ricominciò a vivere momenti più tranquilli: “On Saturday mornings we’d have bacon rolls and pick six home for the coupon. And everytime I left the house, without fail, my dad would reach out and hold my hand. I’d wait for that, so I could hold his hand too“. Leggete queste parole, ascoltate il brano e rimanete impassibili, se ci riuscite!
Le immagini utilizzate per questa antologia sono tutte tratte da una serie di fotografie del 1979 del fotografo scozzese John Walmsley che catturano il paesaggio della nuova città di Wester Hailes, nel sud-est di Edimburgo. Il lavoro di Walmsley è “un memoriale del primo ottimismo di queste scintillanti conurbazioni, il bagliore monocromatico dell’ora magica della luce del sole invernale sulle passerelle di Wester Hailes che in qualche modo rispecchia lo spirito delle canzoni di Hunt. In queste ambientazioni anonime, i bambini silenziosi sono testimoni dei drammi quotidiani della vita degli adulti e si chiedono cosa li attenderà alla fine quando si uniranno a quel mondo“.
Non posso che lasciare ancora la parola a Hunt, per concludere queste mie appassionate e devote elucubrazioni: “For a long time these songs – about the bandstand in Kings Park and the black woods on the edges of the new town – were all I had. I played them with my friends and that meant the world to me. It moves me to revisit them; I am happy beyond words that this record exists.”
Con lui e con il resto della band, sono anche io felice – davvero al dì là delle parole, come si è visto- della pubblicazione di questa raccolta. Un atto d’amore nei confronti di una band che merita (meritava? meriterà?) un grande successo e un maggiore riconoscimento dalla critica e che, quando anche rimanesse -e mi auguro davvero che non accada- appannaggio di pochi fortunati, sarà sempre una delle espressioni più sincere e straordinarie di un momento storico e di un luogo specifici, ma di un’attitudine universale forse irripetibile.
So Far So What
Keith Martin, l’autore di So Far So What, è stato l’ispirazione per il bellissimo libro di Andrew O’Hagan Mayflies (“Effimeri”, in italiano )ed è stato anche fondamentale per l’inizio dei Butcher Boy. Per saperne di più sul Keith e sul romanzo ecco due articoli: il primo, un breve tributo di John Niven all’amico scomparso, e, il secondo, dello stesso Andrew O’Hagan.
Leggeteli.
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