Fontaines D.C. – Skinty Fia

Francesco Giordani e Francesco Amoroso per TRISTE©

Francesco A. Ricordo nitidamente che, nell’aprile del 2019, mi chiedesti di recuperare il promo dell’album d’esordio degli irlandesi Fontaines D.C., band già piuttosto chiacchierata e i cui primi singoli ti sembravano interessanti. Naturalmente ero anche io interessato (figuriamoci se una band con le radici e i riferimenti musicali e la provenienza dei Fontaines D.C. potesse sfuggirci…) e immediatamente ti inviai il promo di Dogrel.
Dopo qualche tempo, seduti fianco a fianco al concerto di Daniel Blumberg, mi confessasti, con il tuo solito tono serio e confidenziale, che il disco ti aveva conquistato piano piano, dopo le prime perplessità. Lo stesso era accaduto a me e te lo dissi francamente. Concordammo (è raro che non succeda su queste sonorità) che i Fontaines D.C. erano una band decisamente promettente e come Dogrel, in nuce (termine che probabilmente utilizzasti tu, visto il tuo eloquio sempre così forbito), contenesse i germi di un grande futuro, se solo la band fosse riuscita a scrollarsi di dosso gli inevitabili paragoni.
Poi è arrivato, poco più di un anno dopo, A Hero’s Death.

Francesco G. Ricordo quello scambio e anche le mie speranze camuffate da caute reticenze. Abbiamo intervistato insieme, se ricordi, la band all’epoca di A Hero’s Death, soffermandoci con gli Irlandesi su una frase emblematica di un fan, trovata per caso su YouTube: “è bello sentire di avere una band in cui credere di nuovo”. Cosa verissima. In molti credono infatti nei Fontaines, i tanti che li elogiano, ovviamente, ma anche, in modo meno ovvio, gli altrettanti che li criticano. NME li ha addirittura apostrofati “best band in the world” ma al di là della boutade è incontestabile che i Fontaines D.C. abbiano ormai superato in popolarità molte temibilissime band rivali, dagli IDLES ai Protomartyr, dagli Iceage agli Sleaford Mods, codificando una “voce”, un timbro, che gli appartiene in modo esclusivo ed è immediatamente riconoscibile. Non è affatto poco per una band in fondo così giovane.
Con questo nuovo Skinty Fia, facendo un parallelo “rockettaro” un po’ spericolato, è come se gli Irlandesi fossero balzati, mediante l’ennesimo salto evolutivo, dal “fuori” di Seventeen Seconds al “dentro” di Pornography. Un bel salto nel vuoto, letteralmente. Eppure, diceva il filosofo Gargani, cos’è il camminare se non un cader bene?

F.A.: Se mi tiri fuori i filosofi mi sento in difficoltà e mi schermisco. E mi butto su osservazioni più ovvie: non vedo, nel panorama attuale una band capace come i Fontaines di scrivere canzoni subito così riconoscibili senza ricorrere a una struttura di canzone “classica”.
Tutti i brani di Skinty Fia sono fondamentalmente, privi di ritornelli o di ganci particolarmente immediati. Solo Jackie Down The Line credo abbia un ritornello. E forse è proprio a questo che ti riferivi: le loro canzoni sono quasi immobili, camminano poco, eppure cadono benissimo.
Il post punk, i Fall, sono ormai solo un punto di partenza per questa caduta verso l’alto.
Con questo album la band si è affrancata da ascendenze troppo evidenti e ingombranti per diventare una band puramente pop(ular).
E, per ironia della sorte, o forse per semplice coraggio e talento, lo hanno fatto con un album che, senza essere esplicitamente sperimentale, rifiuta le strutture pop classiche e cerca una nuova strada espressiva, ma non sacrifica la fruibilità e l’immediatezza.
Credo che la produzione di quel genio di Dan Carey abbia molto influito su questa dinamica: le chitarre dal suono reiterato, la ripetitività ipnotica delle canzoni, che variano impercettibilmente, eppure fanno lo stesso effetto di un anthem come in I love you o Skinty Fia

F.G. Centri perfettamente il punto.
Le dieci nuove canzoni sono disadorne, minimali, regressive (nel senso di non-progressive), avare di melodie “cantabili” (ad eccezione di quella Jackie Down The Line, splendidamente in bilico fra Oasis e Nirvana e già cavallo di battaglia), strutturate su una sintesi parsimoniosa di accordi che però accresce il peso specifico di ogni singolo elemento, dalle linee di basso ai riff alla voce di Grian Chatten, esaltandone la sottilissima suggestione, il magnetismo scuro e fascinoso. Un raggiunto controllo stilistico che mi appare evidente soprattutto nell’incredibile trittico d’apertura, da In ár gCroíthe go deo alla notevolissima How Cold Love Is. Canzoni avvolte in una luce livida, plumbea, raggelata, talvolta anche trasognata.
Roman Holiday, con quel suo shoegazing imploso e un ritornello volutamente negato, acefalo, è in questo senso meravigliosamente sintomatica.
Nell’invettiva quasi parlata di I Love You, nelle vertigini screamadeliche di Skinty Fia, negli Smiths virati Joy Division di Bloomsday (a mio parere il vertice del disco), avverto come un senso fortissimo di esaurimento dell’epica “rock” (del resto gli eroi sono morti…), che si trasfigura in un canto luttuoso, di rimpianto ma anche di nostalgia per una “patria” -sia essa l’Irlanda o il rock stesso- che inesorabilmente si allontana.
Da questo punto di vista i Fontaines, raccogliendo il tizzone poetico dei Pogues (omaggiati nella fisarmonica di The Couple Across The Way), si ritrovano oggi, da neo-Londinesi acquisiti, a intonare l’eterna e universale maledizione della diaspora irlandese per gli espatriati del terzo millennio. Proprio questa mi pare una delle chiavi più interessanti di Skinty Fia, ben allegorizzata dal cervo ritratto sulla sua copertina, emblema dello sradicamento migratorio (desunto dal detto gaelico “la dannazione del cervo”) ma anche, se non soprattutto, della musica che amiamo, irrimediabilmente smarrita tra i corridoi bui del mondo contemporaneo.
Non so se questa band potrà traghettarci ad un “dopo”, come fecero i Primal Scream e i My Bloody Valentine nel 1991 o i Radiohead dieci anni dopo. Sento però che l’aria di commiato che accarezza il disco in qualche modo riguarda questo nostro tempo. Tu che ne pensi?

F.A.: Penso che Skinty Fia possa diventare, forse in maniera meno dirompente rispetto a quanto accadeva una volta (perché le band che hai citato e quelle che sono venute prima di loro erano ancora figlie di una concezione del rock come musica universale e di aggregazione, mentre ormai sembra sempre più un esercizio individuale e di interiorità), uno spartiacque per questo movimento di ritorno alle (o delle) chitarre e non credo affatto che sia un caso che, alla base di tutto questo, ci sia il post punk.
Mentre rifiutavano il vecchiume e si scagliavano contro lo status quo, le band del primo post punk, pur senza essere nichiliste come i punk, si rivolgevano al futuro con paura e preoccupazione, con un pessimismo che più che cinico definirei realista.
I Fontaines D.C. sono, certamente, influenzati dalle sonorità del post punk, ma, ancora di più, sono influenzati dalla sua attitudine: sono, come tutti noi, smarriti e preoccupati e i loro suoni non ci forniscono alcuna redenzione, ma ci aiutano ad affrontare un presente che – bomba permettendo – può essere solo foriero di un futuro diverso.
Trovo nelle note di Skinty Fia, fatte le debite proporzioni, lo stesso afflato eroico di Three Imaginary Boys, l’angoscia metafisica di In The Flat Field, l’umano smarrimento di Unknown Pleasures e una grande capacità di sonorizzare il tempo incerto che navighiamo (con una punta del romanticismo di Echo & The Bunnymen o The Jesus & Mary Chain). Esagero? È possibile, ma sarei un pavido a non sbilanciarmi.
Avevo paura che avremmo parlato solo delle risibili critiche lette in giro (ben vengano le critiche, a questo e a qualsiasi altro lavoro, ma che siano ponderate nei tempi e articolate negli argomenti) e, invece, ci siamo lasciati trasportare come due sedicenni che scoprono per la prima volta l’amore. Non fosse altro che per questo, mi sento di essere grato ai Fontaines D.C..

Francesco G. Non esageri e anch’io sono grato ai Fontaines D.C., oltre che felice per l’ampio successo che, contro ogni pronostico, stanno riscuotendo in tempi certo non facili.
Chiudo con un curioso aneddoto. Il figlio di un mio caro amico e collega di lavoro, che ha solo otto anni, qualche giorno fa ha detto a suo padre: “Papà, rimetti quel disco del gruppo che urla e che fa tanto casino?”. Ebbene, quel gruppo erano i Fontaines D.C..

Great to have that feeling of a band to believe in again”. Sì, quel fan su YouTube aveva proprio ragione.

P.S.
E’ almeno la terza volta nel giro di un anno che parliamo di un album che è arrivato al n°1 in Gran Bretagna (probabilmente soprattutto grazie alla vendita di copie fisiche). Che sta succedendo? Siamo diventati troppo “mainstream”? O la buona musica è l’unica che continua a vendere?

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