Daughter – Stereo Mind Game

Francesco Amoroso per TRISTE©

Pigeonhole: verb. To put someone or something into a group or type, often unfairly: “He’s was pigeonholed early on in his career as a gospel singer.
(Cambridge Academic Content Dictionary ©Cambridge University Press)

Come è facile vivere la vita categorizzando tutto, etichettando, incasellando. Come tutto diventa semplice e automatico. Come le nostre opinioni arrivano alla nostra mente già formate, senza il bisogno di elaborare. Come, senza dover compiere lo sforzo di comprendere e di approfondire, tutto si presenta davanti ai nostri occhi come chiaro e intellegibile, senza sfumature, senza chiaroscuri. Senza dubbi.
Raccontare la musica utilizzando questi schematismi diventa una passeggiata. La nuova band suona come…
Di solito, per quanto mi riguarda, basterebbe citare i Velvet Underground, i Beatles o Nick Drake (per poi, eventualmente “approfondire” usando i termini indiepop, shoegaze, folk, post punk) e il gioco sarebbe fatto.

Però, per quanto possa essere facile e comodo, nulla può veramente essere incasellato e categorizzato senza che se ne perdano le sfumature, i particolari, l’essenza stessa. E così, in ambito musicale, se si volesse davvero rendere merito a un album o a una band, occorrerebbe fare un piccolo sforzo in più ed evitare, quanto più possibile, i cosiddetti pigeonholes che, se da un lato possono attirare, come finte mosche attaccate a un amo, l’ascoltatore più pigro e disattento, finiscono per fornire un’idea semplicistica e distorta dei prodotti artistici di cui si volessero tessere le lodi.

Il lungo (e un po’ ozioso) preambolo è scaturito piuttosto spontaneo leggendo le prime recensioni del nuovo album degli inglesi Daughter, Stereo Mind Game, al quale, uscito solo venerdì scorso, è già stata data ampia (e superficiale) copertura mediatica.
L’album arriva a distanza di sei anni dalla precedente uscita (Music From Before The Storm, colonna sonora del videogioco Life Is Strange: Before the Storm), a dieci dall’esordio If You Leave e a quasi otto anni dal precedente Not To Disappear. Musicalmente, di questi tempi, una vita.
L’attività del trio formato da Elena Tonra, Igor Haefeli e Remi Aguilella si era interrotta proprio nel momento in cui i londinesi erano riusciti a conquistare un ampio successo di critica e pubblico e a raggiungere una posizione di spicco nella scena alternativa inglese. Solo l’eccellente album solista di Tonra (con lo pseudonimo Ex: Re) aveva interrotto, nel 2018, un silenzio che temevo potesse rivelarsi definitivo.
E, invece, il filo del discorso viene ora riallacciato da Stereo Mind Game, un album che riporta i Daughter sotto la luce dei riflettori, con sonorità decisamente più distese rispetto ai lavori precedenti e con toni sempre accorati e pieni di passione e, tuttavia, meno pessimistici.

Canzoni come Be Your Own Game, Party o Swim Back, pur conservando il fascino umbratile delle passate composizioni di Tonra -che già, rispetto ai primi magnifici ep, si erano fatte più accessibili- appaiono più immediate e istantaneamente riconoscibili.
Che sia attraverso suoni organici (Isolation, Dandelion, Junkmail), con l’apporto dell’orchestra d’archi 12 Ensemble (che aveva già lavorato a una rielaborazione del lavoro di Ex:Re), dei cori o dei fiati, o grazie a synth e a sonorità elettroniche (Neptune, Wish I Could Cross The Sea), i dodici brani che compongono l’album risultano sempre originali, emozionanti, caldi e avvolgenti.

Scandagliando tra i solchi di Stereo Mind Game, ciò che più colpisce coloro che già conoscono e hanno amato le sonorità di Daughter è, però, che l’immediatezza è, in fondo, solo un’apparenza, una sorta di Trompe L’Oeil (trompe l’oreille, sarebbe più corretto forse). Dietro alle melodie più aperte e distese dei nuovi brani, dietro ai suoi testi vagamente più ottimisti e meno disperati, nelle intersezioni tra la voce sempre magnifica e espressiva di Tonra, le chitarre taglienti di Igor Haefeli e la batteria puntuale di Remi Aguilella, si celano innumerevoli ornamenti sonori, raffinati dettagli, particolari invisibili (inudibili) al primo ascolto.
E’ sempre stato difficile categorizzare le canzoni di Daughter (anche se è indubbio che il folk faccia parte integrante del loro bagaglio sonoro), ma con Stereo Mind Game le cose si fanno ancora più complesse: è un album coraggioso, audace, che rifugge i cliché e si allontana in parte anche dallo stesso immaginario che aveva fino a ora caratterizzato le sonorità della band inglese. Ha certamente l’ambizione di riportare Daughter al centro di quella scena musicale alternativa inglese che già li aveva osannati, ma non cerca alcuna scorciatoia per ottenere tale risultato.
Senza abbandonare il lirismo poetico che li contraddistingue, i Daughter, attraverso delicati paesaggi sonori e momenti decisamente più grintosi ed energici, trasmettono emozioni complesse e meditano su ciò che si prova a sentirsi separati dai propri cari e, in alcuni casi, anche lontani da se stessi. Tuttavia a tali tematiche la band si avvicina con un atteggiamento di minor coinvolgimento rispetto al passato, prendendo, in qualche modo, le distanze da ciò che narra, dal contingente, per cercarvi un senso, con la convinzione che nulla sia del tutto assoluto e che quindi sia possibile non essere sopraffatti dalle emozioni e completamente consumati da esse.
Il passato (come ci insegna il fiore pressato in copertina) deve essere ricordato, si deve imparare a conviverci, ma è anche necessario archiviarlo, per continuare ad andare avanti.

I suoni di Stereo Mind Game, rispecchiando perfettamente questa scelta: i lavori precedenti di Daughter non sono affatto dimenticati (e come si potrebbe?), così come la voce di Elena Tonra è sempre il fulcro, il corpo celeste attorno al quale ruotano tutti gli altri suoni, ma l’inventivo utilizzo delle percussioni, dei sintetizzatori, dell’orchestra e dell’elettronica, spinge la band avanti verso un futuro che è ancora tutto da scrivere.
Se Be On Your Way è coinvolgente e diretta, con la voce di Tonra che si impone su una melodia immediata e una ritmica incalzante, Party sembra, in qualche modo, fare i conti con il passato e non solo in termini sonori: qui i Daughter si spogliano in parte della loro intricata produzione per concentrarsi su un monologo interiore che racconta del tentativo di Tonra di superare i propri problemi con l’alcool: “Refuse to believe that there’s a problem / You see I could stop if I want“. Senza dubbio una delle tracce più brillanti e immediate di Stereo Mind Game (e una di quelle che i fan della prima ora potranno subito amare).
Swim Back, d’altro canto, con la partecipazione del 12 Ensemble (registrata in uno studio ricavato in una ex-piscina nel sud di Londra) è un deciso balzo in avanti: con un’attenzione per i dettagli quasi maniacale (“Sono troppo ossessivo e troppo esigente per non volere sempre cambiare qualche pezzetto qua e là” ammetta Haefeli), un ritmo cinetico, i sontuosi arrangiamenti di archi e la voce di Tonra, stavolta distorta, è un chiaro esempio della direzione che il trio londinese potrebbe intraprendere nel prosieguo della propria carriera musicale.

Stereo Mind Game non è necessariamente il miglior album di Daughter, ma è senz’altro il loro più ambizioso, più luminoso, più lussureggiante e potente.
Le canzoni splendidamente arrangiate portano i londinesi lontani dalla loro comfort zone senza, peraltro, minimamente costringerli a snaturarsi, ma semplicemente ampliando gli orizzonti sonori dalla band oltre quel folk rock passionale, e comunque personalissimo, che ne aveva caratterizzato gli esordi.
Non sarebbe difficile parlare dell’indie idiosincratico dei Pale Saints o dello shoegaze di mille altre band, citare il dream-pop o addirittura scomodare il trip-hop (Haefeli si è da tempo trasferito a Bristol, del resto), avvicinare la voce di Tonra a quella di tante altre musiciste inglesi e americane che si sono affermate negli ultimi anni, né sostenere che il nuovo album si avvicina al pop mainstream più di quanto i Daughter avessero mai osato fare prima.
Ma sarebbe davvero fare un torto a un album che, invece, nonostante la sua apparente immediatezza, si dischiude lentamente, lasciando che le sue canzoni si assorbano e si comprendano ascolto dopo ascolto (brani come Junkmail, Isolation, Future Lover, To Rage hanno arrangiamenti la cui complessità si svela solo dopo lungo tempo).
Rendiamo, invece, merito a Stereo Mind Game, affermando che le canzoni che lo compongono suonano solo come canzoni di Daughter.
(E che sono bellissime, naturalmente)

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