
Francesco Giordani per TRISTE©
“I Pogues, nel ricreare musica irlandese a Londra, circondati ovunque da inglesi, stavano riportando alla luce una cosa perduta, un compendio di musica irlandese per espatriati e celti di seconda generazione.”
R.Moody, Musica Celestiale, Bompiani 2015
Siamo, è noto, nel pieno di una vera e propria Irish invasion. Non ci riferiamo esclusivamente alle imprese musicali a noi ormai famigliari di Fontaines D.C., Murder Capital, Lankum, Pillow Queens e Gilla Band, ma anche ai romanzi di Sally Rooney e Paul Lynch (fresco vincitore di Booker Prize con Il Canto del Profeta), ai film di Martin McDonagh (avete visto in particolare il suo recente e bellissimo Gli Spiriti dell’Isola?), alla consacrazione di un attore come Paul Mescal, restando ai nomi di cui abbiamo tenuto traccia nei nostri taccuini.
Un’esplosione di giovani e spesso giovanissime visioni che, restando al nostro terreno elettivo delle sette note, continua a regalarci scoperte a getto più o meno continuo. Se dei lavori di Sprints e NewDad già a lungo si è parlato, sale intanto la curiosità per progetti che ancora non sono giunti al debutto lungo come Cardinals (notevolissima la loro recente Unreal) e Makshift Art Bar, la cui Inertia val bene un vostro attento ascolto, nel caso non l’aveste già incontrata.
In questa montante marea di spume celtiche affiora a pelo d’acqua uno scoglio in particolare, a parere di chi vi scrive. La roccia su cui The Clockworks hanno edificato l’epica romantica e disperata del loro magnifico album Exit Strategy, uno degli esordi più solidi e rimarchevoli dell’ultimo quinquennio, nell’ambito dell’art rock melodico d’oltremanica. Per trovare un debutto altrettanto impattante sin dal primissimo ascolto, la nostra memoria deve infatti risalire almeno al 2019 di… Dogrel. E in effetti i Fontaines D.C. rimangono per questo giovane quartetto di Galway trapiantato a Londra un punto di riferimento palpabile (seppur nelle interviste smentito), che però il cantante James McGregor e compagni -coadiuvati agli Abbey Road Studios da un Bernard Butler semplicemente in stato di grazia- riescono ad attraversare, senza precipitare nell’emulazione scolastica e sbucando per così dire “dall’altra parte”, in un luogo sonoro e poetico che appartiene trionfalmente soltanto ai Clockworks e a nessun altro. Non per niente Alan McGee, che di talenti ne ha scoperti e lanciati più d’uno (a partire dagli stessi Oasis, esplicitamente citati nell’album), si è profuso non poco per la band, pubblicandone i primi singoli con la sua neonata Creation 23.
I versi graffianti di McGregor, che ricordano a tratti certi aforismi del più disilluso Paddy McAloon, così come la voce scura e pugnace dell’Irlandese, tendono a collocare questo progetto in una corrente altra, percettibilmente eccentrica, rispetto al neo-post-punk oggigiorno imperante (pur con tutti i distinguo del caso) di Yard Act e IDLES, dando corpo e sostanza lirica ad un’epopea rock dai risvolti più esistenzialistici che politici. Exit Strategy riscrive infatti il canovaccio del Viaggio dell’Eroe, calandolo in una storia di ordinaria migrazione e diaspora irlandese che dalla nativa Galway conduce il protagonista/alterego del concept sino alla Babilonia contemporanea di Londra, luogo di promessa e di dissipazione, di perdita d’ogni innocenza e di verità ritrovate infine a caro prezzo, nell’inevitabile sconfitta.
Fuga? Viaggio iniziatico? Romanzo di formazione? Exit Strategy è un po’ tutto questo, un film mosso e non privo di svolte di trama, fittissimo di personaggi e dialoghi straordinari, che si fa largo, mantenendo una vibrazione romantica perfettamente “irlandese”, fra allusioni agli Smiths (Death and Entrances, Danny’s Working Like A Dog, Hall of Fame) e ai Libertines (Bills and Pills, Advertise Me), ai primi Pale Fountains (Car Song), così come a certi Echo and The Bunnymen o anche, come giustamente osservato dalla critica più accorta, ai Lotus Eaters (Lost in The Moment).
Il disco, uscito un po’ in sordina lo scorso novembre, trova in questi giorni una distribuzione anche italiana, che si intreccia con il concerto che gli Irlandesi terranno al Covo Club di Bologna il prossimo 16 marzo. Una duplice occasione per scoprire una band di assoluto valore.