Francesco Giordani e Francesco Amoroso per TRISTE©
F.G. Carissimo Francesco A.,
ti scrivo perché è successo di nuovo. L’anno scorso furono i Choir Boy. Quest’anno i Nations of Language. Uno dei più intrinsecamente inglesi fra i “generi” musicali, ovvero il synth pop, trova in America una band in grado di iniettare nuova linfa vitale nelle sue fibre sonore logorate dai decenni.
La cosa mi sorprende non poco: in un Regno Unito sempre più intrappolato da demoni e ataviche paure, le giovani indie-band (con qualche più che discreta eccezione, ultima in ordine di tempo i W.H. Lung, per fare un nome) si lasciano sedurre da sbocchi noise-hardcore o arditi avanguardismi con un che di informale/concettuale, eleggendo a spirito guida la più americana (e dissonante) della band post-punk britanniche, vale a dire i Fall.
Come se da quelle parti si fosse smesso di credere nel potere redentivo della grande melodia, nella forza luminosa del grande melodramma pop, nella gloria universale dei ritornelli e delle “arie” scolpite nell’eternità.




