Leon Bridges – Coming Home

Marica Notte per TRISTE©

La filosofia, forse più dell’indie, è morta (e per questo, almeno dal mio punto di vista, non bisogna essere felici. Nessun motto del tipo “la filosofia è morta evviva la filosofia”. Per parafrasarne qualcuno). Forse non per tutti, perché c’è ancora qualcuno che, in apparenza, sembra apprezzarla. Questo lo si può notare in qualche straduzza romana dove libri di Nietzsche e Pasolini sono nelle mani di giovani hipster (anche se sarebbe interessante far notar loro la mancata comprensione dei pensieri pasoliniani, perché i barboni, cioè soggetti con barba lunga e folta, sono degni sostituti dei capelloni). Ma tralasciamo.

Alcuni dicono che «l’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono, e di quelle che non sono in quanto non sono» (Protagora, fr.1, in Platone, Teeteto, 152a). Volendo tradurre in maniera molto semplice questo principio (scontato in apparenza), l’essere umano è il metro di paragone delle cose. È lo strumento attraverso il quale e per il quale l’esistente è e può essere misurato, così come ciò che non è. Misura di tutte le cose e di esseri.

Quindi volendo ancora giocare un attimo su questa relazione possiamo dire che: Sam Cooke, Otis Redding e Marvin Gaye sono anche Leon Bridges. E che Leon Bridges è e non è allo stesso tempo Sam Cooke, Otis Redding e Marvin Gaye.

Perché Leon Bridges è unicamente Leon Bridges, e in ciò risiede la sua grandezza.

LeonBridges_ComingHomeLeon Bridges (Fort Worth, TX) non ha bisogno di molte presentazioni perché si correrebbe il rischio di usare parole con poco impatto qualitativo. Impatto che possiamo percepire dalle primissime note di Coming Home, primo LP (Giugno 2015) in cui i dieci brani sono la testimonianza della bravura artistica e anche forse della reincarnazione (almeno per il timbro vocale) di melodie soul.

Lisa Sawyer (Febbraio 2015) e River (Aprile 2015) sono i brani che hanno anticipato il lavoro di Bridges e che hanno permesso l’entrata in scena di un nuovo artista e anche di un uomo di altri tempi (l’eleganza, non solo musicale, è sempre apprezzata).

La musica di Leon, un ragazzo di neanche trent’anni, è espressione di una certa tradizione musicale in voga soprattutto negli anni 50/60’ americani, dove Cadillac e ragazze, con capelli cotonati e guantini di raso, aspettavano sul ciglio del giardino ragazzi tirati al meglio. Ma anche tanto altro.

Ascoltando River, Better Man, o Shine mi accorgo che spontaneamente sciocco le dita e cerco di tenere il tempo, e immagino che un ragazzo questa sera mi verrà a prendere con la sua Cadillac per portarmi a ballare.

E al piano ci sarà Leon Bridges con la sua orchestra. E tutto sembrerà diverso. Tutto sembrerà bellissimo.

3 pensieri su “Leon Bridges – Coming Home

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