Ma da dove spunta fuori Oliver Wilde? Certamente non da google, dove viene facilmente scambiato per il ben più famoso Oscar o per la ben più attraente (giusto un pochino) Olivia.
Oliver in realtà è un commesso in un negozio di dischi (per quanto ancora?) che ha dato alla luce uno degli album più belli del 2013. Infatti il morbido Bristolian, non solo è un cantautore notevole, ma è soprattutto un abile alchimista nel miscelare pop, folk, elettronica e shoegaze.
E sebbene la figura rotonda e accomodante lasci da subito pensare a Badly Drawn Boy, in realtà il disco mostra tante altre influenze, da Deerhunter a Broken Social Scene passando per i Beta Band (si, a tratti pensare ad un commesso che diventa musicista mi ha fatto pensare ad High Fidelity), mantenendo tuttavia un sapore da cantautorato intimo. Come se la produzione e la realizzazione del disco avessero trovato posto nella camera da letto o nel retrobottega del suddetto negozio di dischi.
A Brief Introduction to Unnatural Lightyears è una camminata leggera che ci accompagna perfettamente in queste afose giornate di mezza estate, quando siamo stanchi di dover ascoltare le solite hit estive o siamo magari in hangover bulimico dai summer festival.
Un début-album che mette tante aspettative nel futuro del Wilde, dato che molti pezzi sono veramente piccoli capolavori di artigianato pop: dal singolo Perrett’s Book a Something Old, da Walter Stevens’ Only Daughter senza dimenticare Marleah’s Cadence; la voce sussurrata, gli arrangiamenti un po’ lo-fi e dei passaggi un po’ pianola Casio/gaming sound pongono questo disco fra le cose da comprare per la nostra vacanza estiva. Al pari dei racchettoni Frescobol.
Voto 8. Buono e al momento giusto come un rosato Cote de Provence al tramonto a bordo piscina.
PS= Io che sono l’entusiasta, avrei preferito dare 8.5, ma sia per il fatto che la recensione è vecchia di qualche giorno sia per le continue pressioni del mio collega, ho deciso di virare verso un più consono 8. Il tempo sarà il miglior giudice.
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