Marica Notte per TRISTE©
Ognuno di noi ha ricevuto degli insegnamenti, pochi di noi ne ricordano bene il contenuto. Le parole, anche le più importanti, diventano un vago ricordo con il tempo e la voce del singolo narratore si confonde con quella di altri personaggi in un vocio di cori. In un bisbiglio di storie sentite come fossero echi e richiami.
Quando mi rivedo bambina vedo la mia testa all’insù in attesa di un messaggio. Ricordo (e a volte è davvero possibile) la sensazione di capogiro che avevo nelle gambe e negli occhi; piedi ben saldi a terra, testa verso l’alto e il mondo che iniziava a muoversi e l’equilibrio che perdeva forza e stabilità.
Sarei potuta cadere molte volte ma credo che avrei comunque continuato a guardare il cielo anche se con un ginocchio sbucciato, perché volevo dare la mia voce alle nuvole e alla luna, al mistero e alla curiosità, e vedere i volti degli adulti trasformarsi in smorfie napoletane.
Credo che il “perché” sia stato e sarà uno dei miei insegnamenti più cari. E che con il tempo spero non diventi mai una risposta.
Da un altro continente arriva Kevin Hume portando con sé la sua verità: Something That Was Taught to Me.
Uscito ad inizio Febbraio, Somenthing That Was Taught to Me è un album sincero descritto dalla voce e dalla penna di Kevin Hume (New York) che al suo quarto lavoro continua la narrativa della sua idea di musica.
Nei dodici brani Hume tira le fila del suo racconto diviso in capitoli di poche pagine (un album può essere come un libro) nelle quali viene fuori gradualmente l’abilità di un bravo musicista.
Ciò che si nota con sorpresa è la sua voce che non sembra avere molto del “classico timbro adulto” ma che conserva melodie fanciullesche orchestrate da fiati, cordofoni e strumenti a percussione.
Hume bilancia la melodia sui pesi del folk, come in An Honest Mistake e The Wind Doesn’t Blow, della country ballad, come in The Star of St. Angelo e addirittura intonando una “lullaby” di stampo medievale-cavalleresco come in Not Unknow to Me, esprimendosi senza particolari manierismi ma dando spazio all’evoluzione delle note con naturalezza.
La musica di Hume mi guida nei miei viaggi all’indietro dove mi rivedo ancora con la testa all’insù che canticchio le parole di The Star Of St. Angelo (aggiungo una nota di immaginazione perché sarebbe stata perfetta per una piccola e semplice bambina).
Credete sia possibile non dover imparare da nessuno?