Certe cose ci portano altrove. A me succede ogni qualvolta ho un colpo di fulmine per un nuovo disco, un nuovo artista; succede ogni volta che prendo un taxi a Roma.
Lo scopro in un caldissimo pomeriggio di Agosto, uno di quelli in cui l’aridità della terra e la prepotenza del maestrale hanno giocato un ruolo fondamentale nel trasformare in barbecue 3300 ettari di vegetazione provenzale.
Ieri mi sono addormentato col “profumo” di pino bruciato e gli occhi pieni di fumo.
Stamani ho scoperto una fila di 10 km lungo la strada che mi porta al lavoro. Poi, un’artista che proviene dagli states e che riesce a farti viaggiare senza spostarti: Travelling without moving, come direbbe Jay K prima di rifilarti un sacchetto di beuh.
Tutto nasce dalle note di The Halfwit in Me che inizia con dei rimandi di Nick Drake e del suo Five Leaves Left o Pink Moon: un folk blues jazzato che arriva ad estendersi fino al solo alla Jerry Garcia, quando nel mezzo del viaggio, Ryley decide di appoggiare per terra la bussola ed iniziare a ruota libera. Meraviglioso.
Continua con le note di Roundabout: la rotatoria; che non sarà quella magica di Swindon, ma che, allo stesso modo, ti stravolge, disorientandoti.
La musica di Ryley è viva, un continuo fermento di passione, note, classe e gusto.
Ci sono momenti in cui gli eventi ti riportano coi piedi per terra, ti legano alla realtà che non hai scelto. Lui dice: “I don’t read the Bible, baby, I think it say don’t ask much”.
Non chiedetevi troppo il perché di certe cose, lasciatevi portare altrove.
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