Mia nonna era nata nel 1920. Esattamente il 22 marzo, ma dalla sua carta d’identità risultava una data diversa. Il motivo di tale discrepanza è sempre stato oggetto di speculazione in famiglia, ma probabilmente era solo uno degli effetti del periodo storico durante il quale era nata e cresciuta.
La storia della sua infanzia e gioventù, come quella della maggior parte delle sue coetanee, suppongo, avrebbe potuto, senza dubbio, essere raccontata in un romanzo. Eppure, se non nell’ultima parte della sua vita, non me ne ha mai molto parlato, forse resa reticente da un certo pudore tipico della sua generazione, né io ho particolarmente insistito perché mi raccontasse qualcosa di più. E di ciò mi pento profondamente.
Molto più attento e sensibile di me deve essere stato Nick Ellis, giovane cantautore di Liverpool, che ha incentrato il proprio terzo lavoro in due anni (dopo il debutto “Grace & Danger” dell’aprile 2016 e il suo seguito “Daylight Ghosts” del novembre 2016), appropriatamente titolato “Adult Fiction”, su una vecchia storia popolare tramandatagli dalla zia centocinquenne, Molly Amero, negli ultimi giorni della sua vita.
Così, scrivendo ogni canzone come un capitolo narrativo, Ellis ci racconta le vicende dell’architetto che ha progettato e costruito il Princes Road Boulevard, uno dei luoghi storici più misteriosi e meravigliosi di Liverpool, situato nella zona di Toxteth Park. Dietro l’aggraziata eleganza del viale si nascondeva una storia romantica e tragica: l’idea del suo progettista, infatti, era quella di creare un ambiente così grandioso da permettere a lui e alla sua fidanzata di ballare il valzer lungo la strada alla dolce musica della loro storia d’amore. La leggenda, purtroppo, narra che ci sia stata una svolta tragica e inaspettata, con la morte prematura della futura sposa e con l’architetto ridottosi a vagare per sempre per le strade vuote in cerca del fantasma dell’amata.
Nelle dodici canzoni (o, meglio, nei dodici capitoli) che compongono “Adult Fiction” Ellis, accompagnato da Edgar Jones al contrabasso e Mark Percy alle percussioni e ai cori, dimostra il proprio talento sia come autore che come interprete, superando incurante i confini del genere che spesso limitano gli artisti che si cimentano nel folk acustico.
Con la sua musica che, passando tra blues, folk e country, pur tradizionale, è profondamente sentita e dotata di grande personalità, l’artista inglese costruisce un lavoro affascinante e inclassificabile, se non sotto la voce “meraviglia”.
Sono anche opere come questa che mi ricordano l’importanza delle radici e delle tradizioni e ribadiscono quanto sia delittuoso e sciocco non fare tesoro della storia (che si tratti di quella con la “S” maiuscola o minuscola), non prestare attenzione al passato e a coloro che ci hanno preceduto. Mia nonna, che avrebbe potuto raccontarmi tante storie come quella di Aunt Molly, ne converrebbe. E avrebbe molto apprezzato, credo, questa piccola e preziosissima opera d’arte.
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