Jessica – The Space Between

Francesco Amoroso  per TRISTE©

Quando ero bambino viaggiare non era una cosa così scontata come oggi (o, almeno, come è stato fino a febbraio del 2020). Fare lunghi viaggi intercontinentali era un sogno che non tutti riuscivano a realizzare e molti neanche a concepire.
Personalmente, non ho mai capito veramente il perché, il mio viaggio dei sogni è sempre stato verso l’Australia: mi affascinavano, credo, gli spazi immensi, il fatto che ci fossero territori ancora inesplorati, i canguri, i coccodrilli e il diavolo della Tasmania.

Col tempo, poi, ho cominciato a scoprire di più su quella immensa e per noi lontanissima nazione: una terra vasta, inospitale e affascinante, popolata dai discendenti di ex galeotti, scenario perfetto per epopee epiche e racconti di frontiera, per emozioni forti e paure ancestrali.
E, inevitabilmente, ho imparato ad apprezzarne anche la musica, tanto che molti dei miei idoli musicali di allora provenivano proprio da down under (Nick Cave, i Go Betweens e i Triffids, per citarne solo alcuni).

Negli ultimi anni l’Australia ha prodotto alcune voci femminili straordinarie: Courtney Barnett, naturalmente, ma anche Julia Jacklin, Stella Donnelly e Jen Cloher.
A loro ora si aggiunge la voce unica di Jessica Cassar, in arte semplicemente Jessica. Con i suoi toni chiari e malinconici, da anni ormai, è nota in patria come parte del duo Jep e Dep con il musicista Darren Cross, con il quale ha pubblicato due ottimi album, andando in tour a supporto di artisti del calibro di Jessica Pratt, Johnny Marr, Low, Mirel Wagner e Aldous Harding.

“The Space Between” è il suo album solista d’esordio (anche se il partner Cross è ancora produttore e ingegnere del suono): una raccolta vibrante e inquieta di canzoni che vedono Jessica esplorare i temi della perdita, della memoria, del dolore e della morte, argomento che sente molto vicino, da quando a sette anni, è sopravvissuta a una sparatoria di massa.

Sin dal brano che apre il lavoro, “Has It Come To This”, emerge cristallino il talento vocale dell’artista australiana che, senza sforzo alcuno, armata solo di una chitarra elettrica carica di riverbero e della sua voce straordinaria, riesce a trasmettere un senso di straniamento e di introspezione.

La bellezza che permea tutto il lavoro è tutta nella sua gentile malinconia, nel suo essere triste ed evocativo, senza mai risultare stucchevole.
La scelta di utilizzare prevalentemente la chitarra elettrica e di arricchire i brani solo con poche altre pennellate orchestrali, permette alla voce eterea ed evocativa di Jessica di creare un’atmosfera sospesa nel tempo e nello spazio che rapisce l’ascoltatore, portandolo in una dimensione ultraterrena, nella quale anche il dolore e la desolazione più devastanti possono essere sublimate nell’armonia e nell’incanto.

Per quasi un’ora si viene sommersi dal riverbero e cullati da un folk rarefatto ed etereo che occasionalmente si tinge di sfumature blues o jazz e le undici canzoni che compongono l’album, immerse in fluttuanti scie di vapore sospese nell’aria, sembrano suonate all’interno di una cattedrale, risultando ciascuna una piccola gemma di rilucente tristezza.

Qualche tempo fa ho letto un romanzo ambientato nell’Australia dell’inizio dell’800 dal titolo “La grande occasione di Martin Sparrow” di Peter Cochrane, un romanzo epico che descrive una terra dura e spietata e racconta delle scelte che le persone sono costrette a fare quando hanno pochissime speranze e ancor meno possibilità.
Con le sue atmosfere inquiete eppure eteree, con i suoi toni soavi e commossi, Jessica ci racconta una realtà che sembra lontana anni luce da quell’epoca e da quei luoghi oscuri, e che, tuttavia, non li rinnega, ma li considera come necessari e inevitabili antecedenti, come parte di un retaggio di dolore e miseria senza il quale questo presente non sarebbe neanche immaginabile.

Chissà se, prima o poi, riuscirò a realizzare il mio viaggio dei sogni e a visitare l’Australia. Nel frattempo continuo a farmici trasportare dalla sua magnifica e incantevole musica.

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