Breathless – See Those Colours Fly

Francesco Amoroso per TRISTE©

Se poco più di sei mesi fa avessi saputo che sarebbe arrivato un nuovo album dei miei adorati Breathless, probabilmente mi sarei riservato questa storia di iniziazione alla loro musica e alla voce unica di Dominic Appleton, per introdurre l’insperata e inattesa nuova uscita.
Ma, tra i tanti doni che mi mancano c’è anche quello della preveggenza e, così, mentre raccontavo della magnifica e sorprendente collaborazione tra Appleton e il nostro Matteo Uggeri, non immaginavo affatto che, entro pochi mesi, avrei avuto bisogno di una nuova introduzione per parlare del nuovo album dei Breathless, l’ottavo in trentotto anni di attività e solo il terzo nel nuovo millennio.
Eppure See Those Colours Fly è qui, a rendere più vivibili queste bollenti giornate estive e a rendere, senza dubbio, più sopportabili molti mesi a venire.

In realtà un altro aneddoto da raccontare sui Breathless e la mia passione per loro l’avrei (a costo di tediarvi) e risale anch’esso al marzo del 1988 e al loro concerto del Piper. Sono strani gli scherzi che gioca la memoria: la prima volta che scrissi del concerto non avrei saputo collocarlo temporalmente, poi, per citarlo nuovamente, feci un’approfondita ricerca su internet e, ora che la data, seppur approssimativa, è saltata fuori, mi sembra di aver sempre avuto davanti l’immagine di me stesso come ero a diciotto anni, con i miei jeans neri, il golf a V, anch’esso nero, sulla camicia bianchissima con in collo all’orientale e le mie scarpe da tennis alte e slacciate (come le portava Robert Smith, naturalmente) avvicinarmi timidamente ad Ari e Dominic, brandendo la scaletta del loro concerto e una penna, nella speranza di un autografo.

Fui accolto (mi pare fosse il loro camerino, già discretamente affollato) con estrema gentilezza e calore da Ari Neufeld che mi firmò la playlist e mi invitò ad entrare per fare in modo che anche il resto della band mi regalasse il proprio autografo.
Ari parlava e io, a fatica, rispondevo, tentando di esprimere con il mio inglese allora ancora stentatissimo, tutta la mia ammirazione per il concerto e per la musica della band, quando si avvicinò Dominic Appleton, “alto e austero, profilo nobile e ciuffo biondo” (mi cito).
Ammutolii all’istante e abbassai gli occhi. Mi sentivo piccolissimo e terribilmente intimidito, eppure mi resi conto che Dominic era altrettanto in imbarazzo, forse non abituato ad avere a che fare con i fan adoranti o, semplicemente, troppo riservato e schivo per sentirsi a suo agio in certe situazioni.
La scena si svolse quasi al rallentatore (ma sono certamente ancora gli scherzi della memoria): porsi a Dominic la scaletta e la penna, sempre guardandomi le scarpe (uno shoegazer ante litteram), lui firmò e me la restituì con un sorriso impacciato ma che mi parve sincero. Lo salutai, forse stringendogli la mano, e scappai a gambe levate.

Se l’aneddoto vi sembra insulso è, probabilmente, perché tale è, ma credo possa dimostrare due cose: la prima è la mia venerazione per i Breathless e per la figura iconica di Appleton (quanto avrei voluto essere lui nella mia tarda adolescenza: avere la sua voce, il suo portamento, la sua altezza e il suo fascino naturale), la seconda la schiettezza e la semplice sincerità della band che, nonostante una naturale riservatezza, è sempre stata vicinissima alla propria audience.

Per farla breve (anche se ormai non ci sono riuscito…): i Breathless sono tornati e vorrei parlare di See Those Colours Fly, analizzarne i suoni e le canzoni, ma non è facile perché so benissimo che non potrei mai essere davvero obbiettivo. I Breathless rappresentano per me un punto fermo, fin dai tempi di The Glass Bead Game, e ascoltare le loro nuove canzoni mi fa un effetto strano, mi esalta e mi riempie di nostalgia.
See Those Colours Fly, tuttavia, è un album talmente straordinario (sin dalla bellezza disarmante dell’immagine di copertina, opera dell’artista Jay Cloth), nel quale sogno e realtà si confondono e una placida luminosità sembra diffondersi tra le nebbie dei suoi suoni, che sono certo la mia parzialità verrà superata e perdonata.

Rispetto ai lavori precedenti la prima cosa che balza all’orecchio dell’appassionato è, senza dubbio, il differente approccio alle ritmiche dei nove brani che compongono l’album. Ciò è dovuto, in qualche modo al caso: tre giorni prima che la band entrasse in studio per registrare il primo singolo, We Should Go Driving, il batterista e membro fondatore della band, Tristram Latimer Sayer, è stato coinvolto in un grave incidente d’auto che lo ha lasciato in coma, tra la vita e la morte.
La band ha comunque deciso di continuare a scrivere e provare le canzoni per l’album e l’assenza del batterista, il cui incedere piuttosto marziale è sempre stato una delle caratteristiche del gruppo inglese, ha contribuito a plasmare un suono differente e più fluido, fatto di stratificazioni sonore e droni spettrali, con le parti di batteria programmate dalla bassista Ari Neufeld che conferiscono spazio e placida calma alle composizioni.
Latimer Sayer si sta riprendendo è questa è una bella notizia, ma quasi altrettanto positivo è vedere come la band abbia saputo ricavare il massimo da un’esperienza traumatica e inaspettata.

Per See Those Colours Fly si può dire che i Breathless abbiano colto l’opportunità di uscire dal proprio territorio di elezione, riuscendo a modificare le sonorità che ne hanno caratterizzato l’evoluzione artistica (sempre in divenire, è bene sottolinearlo) senza minimamente tradirsi.
Merito anche della collaborazione con Kramer, l’eclettico produttore newyorkese (che, oltre a essere un artista originalissimo, ha lavorato con band del calibro di Galaxie 500, Low, Royal Trux e, ultimamente, ha contribuito a quel capolavoro nascosto di Neither Is, Nor Ever Was di Constant Follower). Dieci anni fa, Kramer aveva già mixato tre brani dal bellissimo e sfortunato Green To Blue e, stavolta, la band ha deciso di affidarsi a lui per mixare l’intero nuovo album.
Era come se potesse vedere dentro la mia testa e poteva sentire come, se avessi avuto le capacità tecniche, avrei fatto suonare l’album. È come se avesse dei super poteri! Ha questo suono di riverbero molto specifico che fa sembrare le cose come se stessero nuotando, le fa suonare molto più grandi e influenza lo spazio in cui fluttuano. Apre tutto e lo fa sembrare molto tridimensionale” racconta Neufeld a The Big Takeover Magazine riguardo il contributo di Kramer. E non si può che concordare con lei. Il suono di See Those Colours Fly è magnifico: grandioso e al tempo stesso raccolto, ambizioso senza mai eccedere, pieno di delicatezza, ma mai timido o sommesso.

Se il post punk che caratterizzava le prime produzioni (e che potrebbe, di questi tempi, portare nuovi adepti ai Breathless) era già stato gradualmente affiancato, se non a tratti soppiantato, da una psichedelia a volte gentile, a volte più corposa ed elaborata, nel nuovo lavoro queste componenti, sempre presenti (insieme a quello che si potrebbe definire shoegaze, se non fosse che i Breathless suonavano così molto prima che lo shoegaze fosse anche solo un’idea), sono diluite in sonorità più eteree e offuscate, quasi che Appleton, Neufeld e il chitarrista Gary Mundi volessero fornire la loro versione, lirica e trascinante, piena di pathos e trasporto, del dreampop.
Le canzoni di See The Colours Fly non sono più lunghe di quelle contenute negli album precedenti, ma suonano più dilatate, più spaziose e piene di respiro e ancor più evocative (sempre sia possibile).

L’interpretazione vocale di Dominic è da brividi, le performance dei suoi colleghi sono di altissimo livello e la scrittura dei brani è piena di piccoli dettagli, di sottigliezze, di strati di suoni che collaborano nel dipingere un affresco immaginifico e terribilmente malinconico.
Tutto ciò congiura nel creare alcuni dei brani più belli ed immediati mai scritti dalla band: la delicatissima Looking For The Words, My Heart And I, una carezza auditiva di infinita tenerezza, We Shoud Go Driving, trascinante e intrisa di impetuose stilettate chitarristiche, Let Me Down Gently eThe Party’s Not Over, piene di rimpianto e di speranza (e di quella che potrebbe essere la versione maschile della voce degli angeli, quella femminile essendo Liz Fraser), l’oscura e ipnotica The City Never SleepsSomewhere Out Of Reach, che rappresenta lo zenith dell’incontro tra post punk e dream pop, So Far From Love, eterea e quasi leggiadra e la lunga e straordinaria I Watch You Sleep.
Non uno dei passaggi di See Those Colours Fly è meno che sublime, non una nota, non un battito del cuore, sono superflui.
E, sebbene io abbia premesso che con i Breathless (così come accade con pochissime altre band) non riesco proprio ad essere obbiettivo, sono certo che stavolta nessuno potrà smentirmi: See Those Colours Fly è un album dalla bellezza struggente e malinconica e, allo stesso tempo, è un’opera potente e piena di luce e speranza.
Un album necessario per affrontare tempi bui, dolore e ferite. Una panacea, un massaggio per l’anima e per i sensi.

Guardate quei colori volare e innamoratevene.

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5 pensieri su “Breathless – See Those Colours Fly

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