Quando ho ascoltato per la prima volta la voce dell’Angelo?
Come tutte le domande che riguardano gli angeli, plausibilmente anche questa è piuttosto oziosa. E, di certo, benché mi ostini a scavare nella memoria, non riuscirò a dare una risposta definitiva e certa.
Ma, del resto, in fondo, cosa importa?
La prima volta potrebbe essere stato grazie a una canzone dedicata a una sirena, o grazie a quella scritta per la piccola Phoebe, ancora una bimba.
So, questo sì, che, una volta scoperta la voce dell’Angelo, l’ho cercata ovunque, ho scavato anche nel passato per poterla ascoltare e riascoltare, nelle sue mille inflessioni e modulazioni.
Fuor di metafora (che alla lunga potrebbe risultare stucchevole) una volta resomi conto dell’esistenza di Elizabeth “Liz” Fraser e della sua voce ultraterrena, mi sono piuttosto rapidamente (sempre considerando i tempi…) procurato l’intera discografia dei Cocteau Twins, la sua band, e ho imparato a conoscerla a menadito.
Probabilmente qualche anno prima, in piena infatuazione “dark”, sarei rimasto più profondamente affascinato dalle sonorità à la Siouxie di Garlands o Head Over Heels, due lavori emozionanti e splendidamente riusciti, ancora legatissimi a un’epoca e un sound molto ben definiti.
Oppure, avessi scoperto i Cocteau Twins molto più avanti, avrei potuto innamorarmi delle atmosfere quasi ambientali di The Moon And The Melodies, inciso insieme al pioniere del genere Harold Budd, o delle canzoni quasi acustiche del sorprendente Victorialand.
Invece, come succede spesso con i grandi amori, la passione sbocciò, senza motivi apparenti, per Treasure, il terzo album degli scozzesi, quello meno inquadrabile e allineato della loro discografia, un lavoro che cominciava ad allontanarsi con decisione dai modelli ispirativi dei lavori precedenti e presentava caratteristiche musicali peculiari (e seducenti).
Probabilmente anche grazie al nuovo talentuoso bassista e tastierista Simon Raymonde, infatti, i gemelli Cocteau (al secolo Liz Fraser e Robin Guthrie, coppia, all’epoca, anche nella vita) diedero vita ad un album unico, le cui sonorità, lontane da qualsiasi nicchia sonora coeva, li rese gli iniziatori di quello che da allora verrà definito “dream-pop”.
A partire dal cantato di Liz, sublime e inarrivabile, che rifugge le parole per diventare pura astrazione, che si sottrae a ogni definizione (tanto che anche il mio misero tentativo di paragonarla alla voce degli angeli naufraga all’ascolto delle inflessioni più cupe e oscure di alcuni passaggi), che si libra estatico in tutte le sue illimitate possibilità, i tre scozzesi, senza rinnegare le chiare radici dark-wave, danno libero sfogo alla loro creatività ammantando le loro canzoni (perché di canzoni si tratta, pur nella loro peculiarità) di suoni alieni e di ricerca sonora raffinatissima.
Anche se è l’album nella sua completezza a emozionarmi ad ogni nuovo ascolto, con i suoi suoni limpidi, lievi e appassionati, non si può non citare l’incedere cadenzato dell’iniziale Ivo, dedicata a Ivo Watts-Russell, proprietario dell’etichetta 4AD (e ideatore del progetto This Mortal Coil, che tanto lustro ha dato anche alla Fraser), o il gioioso rapimento dell’immensa Lorelei, un brano dalla bellezza accecante, nel quale la voce di Liz Fraser raggiunge vette sublimi, o, ancora, la finale Donimo, che dimostra come Robin Guthrie non sia da meno della compagna e si collochi decenni avanti rispetto ai contemporanei, grazie a un arrangiamento che fonde passato e futuro in maniera mirabile.
Esiste un aggettivo in lingua inglese che amo particolarmente ma che è pressoché intraducibile in italiano: “otherwordly”, un termine che racchiude in sé “ultraterreno”, “irreale”, “mistico”, “spirituale”, “etereo”, “spettrale”.
L’esatta descrizione della musica di Treasure, appunto. L’album più “otherwordly” della “otherwordly” discografia dei divini Cocteau Twins, il primo vagito del dream pop e il suo vertice allo stesso tempo.
Chiudiamo gli occhi e lasciamoci andare, ogni tanto.
Pingback: Kadhja Bonet – The Visitor | Indie Sunset in Rome
Pingback: Nilüfer Yanya – Painless | Indie Sunset in Rome
Pingback: Sun’s Signature – Sun’s Signature | Indie Sunset in Rome