Girlpool – Powerplant

Giacomo Mazzilli per TRISTE©

Chissà se mai Wayne Coyne si ricorderà della serata in cui mi salvò la vita.

A Milano all’Alcatraz, uno dei concerti più belli che abbia mai visto: un elogio alla follia ed alla felicità, a concentrarsi a fondo sul non prendersi seriamente, ad aprire le braccia alla vita, alla follia, alla spontaneità senza limiti. A riconoscere l’amore: Do You Realize?

Le Girlpool, fecero breccia nel mio “cor gentile” nel 2015 grazie alla loro miscela di sincerità, passione ed urgenza. Ho sempre apprezzato questo lato della musica americana, l’urgenza grezza del metodo, in contrapposizione alla tecnica raffinata della musica popolare inglese.

E anche questa volta ci sono canzoni che mi fanno innamorare di loro, grazie anche a quel cantato sempre intrecciato, echeggiato, sussurrato. Accompagnato da suoni più tondi, pop e ammiccanti agli anni 90.

123, mi ricorda (ancora una volta) le Vivian Girls di Share The Joy, quelle che sottolineavano la linea dolce di Katy Goodmann, poi esaltata dal percorso de La Sera. Powerplant invece mi ricorda Elliott Smith, il Nick Drake della nostra generazione, con quelle ritmiche (concedetemi un po’ di carrarino) slatonate, i coretti che questa volta si inseguono dolcemente verso dinamiche che sembrano uscire dai vicoli di Los Angeles con il cappellino da baseball e la frangetta.

Finisce tutto con It Gets More Blue, una canzone in cui non esiste niente dei riff graffianti che riconoscevamo in Crowded Stranger, Before The World Was Big, Cherry Picking, ma resistono le armonie e la ricerca dei suoni – sempre originale. Sembrano assecondare un momento particolare di evoluzione personale: I’m digging through the trash, I can hear the train, as it moves past. 

E se fosse anche vero che a volte i treni passano, scegliete la vita, la sincerità; sappiate riconoscere i vostri errori e cercate di non prendervi troppo seriamente. It’s a powerplant.

Lascia un commento