A ciascuno il suo.
Ci sono amori che sbocciano quando meno te lo aspetti. Esplodono improvvisi riuscendo a sconvolgerti al punto da costringerti ad intraprendere un nuovo percorso di vita.
E poi ci sono amori mai sopiti che rifioriscono con rinnovato vigore riportandoti su tracciati persi ma mai realmente abbandonati.
Due possibilità nettamente diverse che a volte inaspettatamente si combinano generando un piccolo miracolo, come nel caso dei Lean Year.
L’omonimo disco d’esordio della band americana segna infatti contemporaneamente il debutto della cantante Emilie Rex e il ritorno alla musica di Rick Alverson, a dieci anni di distanza dall’ultima pubblicazione degli Spokane, lasso di tempo interamente dedicato al cinema in qualità di regista.
Ciò che scaturisce dall’incontro tra i due artisti è una preziosa combinazione che fonde le capacità interpretative dell’una alla sapiente maestria compositiva dell’altro. Il risultato è un disco fatto di piccole gemme di atmosferico folk incentrato sulla cristallina vocalità della Rex, che con naturalezza si muove tra il sussurrato intimismo di Come and see e Sonja Henie, la vibrante fragilità di Her body in the sky e The louder voice fino a giungere all’emozionale enfasi di Watch me.
Le riverberanti e rallentate cadenze di Alverson, impreziosite dall’apporto di misurati arrangiamenti di fiati e archi, dirigono e rifiniscono con tocco elegante le narrazioni conferendo un senso di equilibrata compiutezza dalle sfumature cangianti anche se appartenenti ad un lessico sempre facilmente rintracciabile.
Una sinergia profonda che introiettando nuova linfa in meccanismi consolidati genera un nuovo ed espanso percorso condiviso che speriamo possa proseguire a lungo.
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