A settembre, in genere, si accalcano molte nuove uscite. Dischi attesi tutto l’anno, alcuni motivatamente, altri meno. L’estate è finita e si guarda verso l’autunno.
Poi c’è qualche uscita che invece rimane più silenziosa. Che non finisce su copertine o post di facebook a ripetizione. Ma che bene si plasma sul nostro mood (o almeno il mio) in questa uscita dall’estate. Eccovi il nuovo disco di Califone: Stitches.
No, Califone non è la storpiatura del fu cantautore romano, bensì il nome di una band statunitense attiva sin dal 1998. E se qualcuno di voi se li è persi per strada, vi invitiamo a dare un ascolto ai lavori precedenti di questo gruppo di Chicago che nasce dal post rock e dalla mente di Tim Rutili per sperimentare, con uno sguardo sempre alla tradizione americana e al folk, e rimescolare formazione per molti anni.
Fino al 2009, quando dopo All My Friends Are Funeral Singers (bel titolo. un pò mi tocco però…) la band ha uno stop, con il nostro Rutili che si impegna in mille progetti diversi, musicali e non.
Ma ecco arrivare, 4 anni dopo, Stitches. Un disco uscito abbastanza in sordina. Un disco poco pretenzioso. E forse anche per questo molto bello. Un disco più intimo e umano rispetto ai precedenti album targati Califone. Un disco nato dalla voglia di Rutili di ritagliarsi del tempo per se stesso.
E quello che ne esce è una produzione più folk, ma senza i lustrini e le pailettes che negli ultimi anni sono stati appiccicati su questo genere. Un disco molto Americano (in senso buono), capace comunque di affiancare ad un più spiccato approccio da songwriter la consueta ricerca di suoni (anche elettronici) che negli anni ha caratterizzato la band.
Sincero e semplice, Stitches è un album in cui forse non ci sono pezzi che spiccano decisamente sugli altri (io adoro la delicatissima title track e Magdalene), ma in cui il livello medio è costantemente alto.
Voto: 7,5 Dopo averli visti live, 8.
Un disco per uscire dall’estate. Ma con il dovuto (eccheccazzo) low profile.
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