Bon Iver – 22, A Milion

jv1Ho in mente una strada, piena di neve. Una cosa tipo l’inizio di Fargo, con quelle macchine familiari dai fianchi in legno. Poche persone a colorare un paesaggio piatto, monocromatico, inespugnabile. Una di quelle cose che dicono “AMERICA” appena le vedi. Più del ragazzo sul ponte della nave de La Leggenda del Pianista sull’Oceano.

È l’immagine che ho in testa tutte le volte che ascolto Calgary, una delle mie canzoni preferite. Un nome che mi ricorda le olimpiadi invernali che guardavo per ore alla televisione con mia mamma. Ogni tanto rimpiango l’intensità di quei momenti.

In verità, non c’è nessun rimpianto, ma solo un po’ di nostalgia: Nostalgia was better in the old days (cit.)

Messe insieme, sono forse queste le doti di Justin Vernon: intensità, nostalgia, profondità.

Lui che si fece scoprire al mondo quasi una decina di anni fa grazie all’intensità di Skinny Love (For Emma, Forever Ago, 2007) e si ripropose con la nostalgia del self-titled Bon Iver e le sonorità à la Top Gun de l’incipit di Beth/Rest.

Questo è il terzo vero capitolo della saga se escludiamo l’EP Blood Bank. Justin Vernon si evolve ancora di più e cresce in profondità. Una profondità che svela una grande verità, per contrappasso: la vita è facile. E perdo completamente la testa.

Perché è l’abbandono delle categorizzazioni, vuole essere al di sopra delle categorie. Questa posizione spesso equivale ad essere naturali, e, di conseguenza, sinceri. Vuol dire abbandonare tutti quei pregiudizi, quelle restrizioni che nella vita ci poniamo per darci un valore. Doniamo al nostro abito (culturale e materiale) il compito di definirci, ma la vita è più semplice di questo. E mi piace pensare che premi sempre la passione per la spontaneità.

29 #Strafford APTS me l’ha mostrato, in quei secondi che vanno dal 0:38 al 0.55: Sure as any living dream, It’s not all then what it seems. È Frank Sinatra, é Frank Capra, é Frank Matano.

22, A Million è un’opera immensa. Justin Vernon sta continuando l’opera evolutiva che si riconosceva agli albori della sua carriera. Quelle note creative e sperimentali che si sono sempre riconosciute nel suo approccio folk classico, si sono sviluppate in sonorità che lo rendono adesso inclassificabile.

Quel loop con cui apre il disco, It might be over soon, gli effetti vocali e sonori di 10dEAThbREast (mannaggia a te che cavolo di nomi hai messo) portano fino al James Blake di 715 – CREEKS. Non c’è una sola canzone che non abbia un ruolo specifico in questa opera.

Sono musiche complesse, e liriche che meritano tempo per essere assimilate e comprese, ma la vita è facile per chi segue il proprio cuore.

Quello di Justin Vernon è grande e meraviglioso. Il mio può solo rassegnarsi alla sincerità.

 

 

 

 

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4 pensieri su “Bon Iver – 22, A Milion

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