La primavera tarda ad arrivare, e con essa anche la voglia di camminare per le selvagge terre del luogo in cui vivo.
Non che la pioggia o il vento siano gli unici deterrenti… è che a me piace farlo mentre fuori il sole è alto.
Di certo non è quello che avrà pensato Nadia Reid mentre girava in toure, perchè no, alla ricerca di ispirazione, l’intero globo. E sembra che l’abbia proprio trovata.
Sono serviti due anni affinchè la cantautrice neozelandese potesse mettere un punto al secondo lavoro appena pubblicato. Due anni in cui avrà sicuramente trovato il tempo di meditare su cosa l’ha portata lontano da casa, luogo in cui – per finire – ha fatto rientro per scrivere il tanto atteso Preservation, titolo che la dice lunga sul fatto che questo album suoni (a tratti) cosÏ beatamente triste.
Spesso accostata a Joni Mitchell, Nadia Reid è quel genere di cantautrice che riduce volontariamente al minimo le tracce in fase di registrazione, usando come arma migliore la parola, riuscendo ad “arrivare” nel profondo di chi la ascolta, come solo il Folk è capace di fare.
Infatti le elaborazioni compositive si riducono ad “essenziali”, dove è solo un giro di arpeggi ad accompagnare la calda voce della Reid (Preservation/ Ain’t Got You/Hanson St)
L’album è decisamamente scarno di arrangiamenti, che compaiono soltanto in alcuni brani, dando a Preservation quel tocco di contemporaneità: un po’ Pop (The Way It Goes) e un po Indie (Arrow & The Aim/ Right on Time).
Un disco che ascolterete volentieri, comodamente sdraiati sul divano di casa, in attesa di ragginugere (anche voi) la vostra destinazione (Reach My Destination).
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