TRISTE© #Roma – Top 10 2017

Vieri Giuliano Santucci per TRISTE©

Quest’anno, più di altri, è stato per me un anno complicato.

Tanti cambiamenti al lavoro. Più responsibilità ma anche, banalmente, più cose da fare. Situazione di certo non migliorata dalla mia incapacità di rifiutare qualsiasi cosa ritenga vagamente interessante.

E poi, ovviamente, c’è anche tutto il resto.

E così finisce come per la musica: quando si mettono insieme troppe cose, quando si ascolta tutto per non lasciare indietro niente, c’è il rischio di non fare bene attenzione. Di fare tutto di corsa e, quindi, di farlo male.

La fine dell’anno (quello solare, non quello vero che come tutti sapete inizia a Settembre) è però un momento in cui, al di là di facili cliché, si può trovare un po’ di tempo per ripensare cosa è stato utile e cosa no; cosa abbiamo imparato e cosa ci è rimasto dentro maggiormente.

E magari in questo modo possiamo riposare la mente e tagliare quei mille rami che stanno togliendo linfa al tronco, liberare la testa da inutili affanni e ripensare all’essenziale.

E se lavorativamente parlando è un processo (almeno per me) meno facile, più semplice è stato farlo in ambito musicale. Tanti sono stati i dischi che mi hanno accompagnato in questo anno (e molti quelli a cui, purtroppo, ho dato solo un rapido ascolto). Ma non sono moltissimi quelli che davvero mi hanno lasciato quel qualcosa in più.

Eccovi quindi la mia classifica del 2017. Che come sempre è tutta mia, e anche un po’ parziale (perchè 10 posizioni sono poche). E come sempre è molto folk (ma non solo…).

10. Nadia Reid – Preservation Non è facile, con la pressione degli anni correnti, dare seguito ad un ottimo esordio. Per farlo servono capacità e pazienza. Nadia Reid sembra possederle entrambe, e dopo 3 anni è tornata con un secondo album davvero convincente.

9. Mount Eerie – A Crow Looked At Me Nella valutazione dell’ultimo album di Phil Elverum è molto complesso scindere l’aspetto artistico da quello emotivo legato alla morte della moglie del musicista. Ma non è forse anche questo l’arte? Il saper rendere universale quello che nasce dal particolare. Beh, in questo caso, il risultato è davvero sublime.

8. Will Stratton – Rosewood Almanac Will Stratton fa parte, secondo me, di quegli artisti “troppo bravi” e “troppo pacati” per saltare all’occhio dei più. Con Rosewood Almanac il songwriter statunitense ha dato saggio della sua estrema raffinatezza, in cui folk e venature pop si incontrano con perfetta naturalezza.

7. Daniele Luppi & Parquet Courts – MILANO Questo disco è l’unione di tante cose bellissime. Il momento magico dei Parquet Courts che sembrano non sbagliarne mai una; la classe graffiante di Karen O, presente in 4 dei 9 pezzi dell’album; e tutta la bravura di Daniele Luppi, produttore capace di circondarsi sempre di artisti di calibro altissimo. MILANO è davvero un disco ottimo.

6. Surma – Antwerpen Il nome di Débora Umbelino non suonerà nuovissimo ai più attenti lettori di TRISTE©. Di lei vi avevamo parlato tempo fa segnalandola come un’artista da tenere d’occhio. Beh, avevamo ragione. La musicista portoghese esordisce in questo 2017 con un disco di una elettronica raffinata e dreamy al punto giusto, in cui natura e tecnologia si incontrano con risultati che toccano l’ascoltatore nel profondo.

5. Dana Gavanski – Spring Demos Dal Portogallo al Canada, passiamo ad un altro splendido debutto di questo 2017. Lei è Dana Gavanski e Spring Demos sono 7 intime gemme capaci di emozionare l’ascoltatore. Un disco da ascoltare più e più volte. Senza stancarsi mai.

4. Florist – If Blue Could Be Happiness Anche con i newyorkesi Florist torna una vecchia conoscenza TRISTE©. Questo secondo album è la summa degli aspetti positivi del bedroom pop: semplice ed emozionante, malinconico ma rincuorante.

3. (Sandy) Alex G – Rocket Gli anni 90′ hanno dato tanto alla musica. A volte alcune “operazioni nostalgia” recuperano qua e la ispirazione e mood di quella decade, purtroppo senza gli stessi risultati e senza la stessa autenticità. Non è il caso di Alex G, che in Rocket sicuramente abbraccia il tanto amato lo-fi dei nineties, ma riesce ad andare oltre mescolando strumenti e stili diversi. Un disco complesso e completo, con tante chicche e tanto cuore.

2. Big Thief – Capacity Doveva e poteva essere la mia numero 1. Poi ho scelto altro. Ma Capacity è un disco davvero impressionante. Per maturità (dopo l’esordio con Masterpiece), per capacità di rapire l’ascoltatore (nessun calo dal primo all’ultimo pezzo) e per intensità di musica e liriche. La band di Brooklyn lascia il segno e con il suo storytelling sempre pieno di melodia si candida ad essere fortemente presente anche nei prossimi anni.

1. Aldous Harding – Party Dovevano essere i Big Thief. E invece no. Dopo molti ascolti ho capito che Aldous Harding (per cui un po’ tutti ancora dobbiamo ringraziare Francesco Amoroso che tra i primi la scoprì anni fa) con Party ha dato alla luce un album che non è semplicemente il migliore del 2017. Party sembra stagliarsi al di là del tempo, e la cantautrice neozelandese sembra aver raggiunto una perfezione nei dettagli delle sue ballad folk dai toni sempre cupi, che le stagliano in uno tempo indefinito, a cavallo tra il passato e il futuro.

PS: Voglio sottolineare come, nonostante le molte critiche, io abbia apprezzato particolarmente l’ultimo album degli Arcade Fire, che credo invece molta gente non abbia ascoltato adeguatamente. Anche perchè è difficile non rimanere estremamente colpiti dalla bellezza di un pezzo come We Don’t Deserve Love.

 

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