Non smetteremo di esplorare. E alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta
(T. S. Eliot)
Viaggiare è imprescindibile per chi ha voglia di conoscere e confrontarsi con ciò che è diverso da se stesso, per chi cerca nella differenza un modo di arricchirsi, per chi ama rendere tangibile l’immaginazione. È poi emozionante ritornare al punto di partenza pieni di un senso di novità, avvertendo ampliato il proprio sguardo e soprattutto il proprio pensiero.
E ad un tale ritorno, arricchito dalle esperienze passate, mi fa pensare il nuovo album di Iron & Wine.
Al suo esordio Sam Beam ci aveva incantato con il suo cantautorato essenziale fatto di racconti quasi sussurrati e un suono a tratti ruvido, attitudine che si è progressivamente evoluta fino a confluire in una sequenza di lavori sempre imperniata sulle canzoni, ma costantemente alla ricerca di possibili combinazioni capaci di ampliare una tavolozza che ha nel folk il suo riferimento imprescindibile.
Con Beast Epic il musicista americano segna un ritorno ad una dimensione più quieta e confidenziale che in parte si discosta dall’ultimo tratto del suo percorso artistico, senza però sconfessarlo.
Questo nuovo capitolo difatti coniuga il carattere intimo della scrittura di Beam con una ricchezza musicale e una coralità acquisita nel tempo e adesso tradotta in un raffinato ed equilibrato lavoro di arrangiamento capace di conferire un delicato spettro di sfumature, che sa esaltare, con tocco lieve, il lirismo di brani quali Song In Stone, The Truest Stars We Know e la meravigliosa Call It Dreaming che preannunciava l’uscita del disco.
Si percepisce il sapore di una definitiva raggiunta maturità che emerge chiara dai solchi del disco, segnando un traguardo in cui l’esperienza si fonda in modo armonioso alla semplicità di un animo colmo di storie da raccontare.
Da godere in attesa che il viaggio ricominci portandoci ancora più lontano.
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