Grian Chatten – Chaos For The Fly

Francesco Giordani per TRISTE©

“Se non ci perdessimo, saremmo perduti”
Jean Echenoz, Un anno,
Einaudi, 1998

Ammetto di aver reagito con un certo fastidio misto a scettico pessimismo alla notizia di un imminente esordio solista di mister Chatten. Me ne sfuggiva un po’ il senso, essendo ormai diventati i Fontaines D.C., grazie anche al cospicuo successo critico e commerciale di Skinty Fia, una delle rock band dal segno più forte fra quelle attive oggi nel mercato europeo, tanto da tirarsi dietro una scia schiumosa di emuli ed aspiranti competitori.

Mi appariva, questa improvvisa, non preannunciata, volontà del cantante dublinese di vedere il proprio nome scritto in calce ad un disco, il segno di una possibile crisi interna alla band, di una stanchezza precoce, di una temibile nausea (del resto apparsa più e più volte nel canzoniere degli Irlandesi, tanto da diventarne quasi un marchio di fabbrica poetico) o forse, più semplicemente, un anacronistico atto di vanità da parte di una rockstar effimera, già inghiottita dal capriccio egotista.

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Robbi Curtice – Nothing To Write Home About

Francesco Amoroso per TRISTE©

“Not only has there never before been a society so obsessed with the cultural artifacts of its immediate past, but there has never before been a society that is able to access the immediate past so easily and so copiously.”
(Simon Reynolds – Retromania)

Sostiene Simon Reynolds, in quello che -senza dubbio- è il saggio più importante per comprendere il mondo della musica “leggera” dell’ultimo quarto di secolo- che l’era pop in cui viviamo adora tutto ciò che è retrò e commemorativo. La musica pop(ular) in passato creava un senso di speranza, continua Reynolds, era proiettata verso il futuro e produceva movimenti innovativi come la psichedelia negli anni 60, il post punk negli anni 70, l’hip-hop negli anni 80 e la rave-culture negli anni 90. La musica degli anni Duemila, invece, è stata prima minacciata, poi spodestata, infine annientata dal passato. E, se all’inizio il problema era soprattutto industriale – revival, ristampe, cofanetti, edizioni rimasterizzate, reunion di band, pubblicazione di biografie, memoir e documentari- da molto tempo ormai è una questione d’ispirazione: invece di produrre nuova musica per esprimere se stessi, i giovani artisti e le band esordienti sono saldamente ancorati alla musica del passato. Ne siamo rimasti invischiati tutti.

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Kara Jackson – Why Does The Earth Give Us People To Love?

Francesco Amoroso per TRISTE©

I’ll make a promise to you then
If we can ever sing again
You sing those high notes high, my friend
I’ll sing the low notes in the end
I’ll sing the low notes in the end

Non saprei se chiamarlo un vezzo, ma mi piace, quando comincio a raccontare un album, aprire con una piccola citazione. Spesso arriva da qualcosa che sto leggendo in quel momento o da un romanzo o una poesia che mi sono venuti in mente ascoltando l’album in questione. Qualche volta mi capita di forzare un po’ le cose, in altri casi il collegamento è palese. Stavolta, però, non sono dovuto andare troppo lontano. Perché l’autrice di Why Does The Earth Give Us People To Love? è, forse ancora prima che una musicista, una poetessa. E anche una poetessa il cui talento è ampiamente riconosciuto.

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Lucinda Chua – YIAN

Francesco Amoroso per TRISTE©

Di fronte alle uscite dell’etichetta londinese 4AD ho sempre avuto una sorta di riflesso pavloviano. E, nonostante dagli anni 80 a oggi le cose siano cambiate in maniera sostanziale (Il fondatore Ivo Watts-Russell ha dapprima, negli anni ’90, aperto un ufficio a Los Angeles e, nel 1999, ha venduto le proprie quote al Beggars Group), continuo a nutrire nei suoi confronti una sorta di venerazione preconcetta.
Negli ultimi anni, poi, dopo un periodo in cui alla 4AD si erano accasati artisti dalle sonorità molto di moda, ma che non rientravano troppo nei miei gusti (con qualche straordinaria eccezione: vedi la ristampa di For Emma, Forever Ago, di Bon Iver, i Camera Obscura o The National), l’etichetta, che oramai si avvicina a grandi passi al mezzo secolo di vita, ha ricominciato a occuparsi di artisti e sonorità entusiasmanti, a partire da nomi amatissimi da queste parti quali Aldous Harding e Big Thief, ma anche come Dry Cleaning e Daughter, tanto che 4AD è oramai (di nuovo) un marchio riconosciuto ovunque -e in qualsiasi scena musicale- come sinonimo di qualità e coraggio artistico.

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Cosmic Crooner – The Perks Of Being A Hypocrite

Francesco Giordani per TRISTE©

Conosciuto grazie ad un’inserzione su Instagram -ed è già la seconda volta, dopo i Ray, che la pubblicità insinua con successo musica a me gradita nell’agenda dei miei ascolti, ci sarebbe quasi da farci uno studio-, Cosmic Crooner è una delle più piacevoli scoperte dell’anno in corso che con gioia desidero condividere su TRISTE©.
Nel medaglione biografico che incornicia il suo profilo Spotity, l’olandese Cosmic Crooner si autodefinisce, traducendo con un po’ di fantasia, l’ultimo eloquente cascamorto d’Europa (“Europe’s newest silver-tongued lounge lizard”). Più precisamente, apprendo da Wikipedia che un lounge lizard altri non è che “a man who frequents social establishments with the intention of seducing a woman with his flattery and deceptive charm.(…) In Europe, he subsequently evolved into what is now known as the gigolo.”

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