Credo che su queste stesse pagine (si chiamano così?) parlai del fatto che la mia canzone preferita degli Ought sia, di base, una canzone molto bella dei Talking Heads, ma proiettata dieci anni avanti.
E questo è un merito, chiaramente.
Credo che su queste stesse pagine (si chiamano così?) parlai del fatto che la mia canzone preferita degli Ought sia, di base, una canzone molto bella dei Talking Heads, ma proiettata dieci anni avanti.
E questo è un merito, chiaramente.
Sono in ritardo. Sono sempre in ritardo. Non che io sia una persona ritardataria. Anzi. Faccio di tutto (e riesco quasi sempre) ad essere perfettamente in tempo. Il problema è che inizio a prepararmi tardi. O rimando fino all’ultimo secondo le cose.
Fossi come il mio amico Giacomino, non sarebbe un problema: prenderei il ritardo con leggerezza e non mi preoccuperei. Io invece lo vivo male. E mi ammazzo per riuscire a rispettare le scadenze.
Questa volta però, non ce l’ho fatta.
Chiudete gli occhi e non pensate a niente ( ci andava la negazione? Ok, no problem, non pensatelo!). Premete il triangolo orientato a destra e godetevi un’ora scarsa di pure relax. Quante volte lo avete fatto prima di ora? Voglio dire, non rilassarsi (spero spesso), ma godersi in completa serenità un album mai ascoltato prima.
Già, perché se lo avessi fatto, avrei potuto pensare a questo disco come a quello di un talentuosissimo fan di Giorgio Moroder e dei Talking Heads. Come si fa a rimanere impassibili soprattutto di fronte al singolo Reflektor, ritmi elettro-pop scanditi da cantati in francese: qu’est-ce que c’est?