Il 2014 é stato un anno particolare per me: ho cambiato lavoro, ho deciso di cambiare vita e ho deciso di andare a vedere live Michael Buble. Stasera.
Sono tutte cose che potrei facilmente descrivere come scelte di cuore. Soprattutto l’ultima, non perche’ sia affetto da qualche sindrome particolare, quantopiú sensible al fatto che la mia ragazza e mio suocero mi farebbero nero se non andassi con loro a vedere lo show del canadese.
Canadese come una band che mi ha particolarmente attratto quest’anno; si chiamano ALVVAYS – li chiamai ALLVAYS nella prima stesura del post sul loro nuovo album, una band che ho visto pure live ad aprire i Real Estate e che mi ha impressionato non poco. Canadese come Caribou, quello del disco di elettronica dell’anno.
Ma ne mancano ancora 8 per completare la top 10. Questa volta ho deciso di mettere da parte il cuore e non mettere in lista due dischi che ho consumato: EELS e Tweedy.
Non l’ho fatto per un motivo particolare, ma semplicemente per una questione di etica: voglio premiare i dischi che hanno offerto un concept preciso, quelli che sono riusciti a mantenere una tensione alta per tutto l’album senza perdersi, portare un po’ di innovazione a questo 2014. Jeff Tweedy ha mancato di sintesi, mentre Mark Everett ha composto un album di 6 pezzi grandiosi senza mantenere lo stesso livello nel resto dei brani. Ed oltre a questo, è bello premiare i dischi che sono stati maggiormente testimoni del proprio tempo.
Poi mi piace citare Sun Kil Moon, soprattutto per il fatto che rimane fuori dalla lista, in favore dei The War in Drugs, autori di un album noisy e noioso per alcuni. Credo non ci sia cosa peggiore di constatare la ristrettezza mentale di un artista che stimavi. Un po’ come Billy Corgan agli occhi di Triste Londra sedicenne,
Anyway, adesso arriva il tridente inglese, quello di Fear Of Men, Douglas Dare ed East India Youth. Cosí, giusto per farvi capire di cosa é capace la nazione musicalmente più evoluta del mondo. Tre dischi diversissimi fra loro ma di una qualitá esasperata. Ho tenuto fuori Alt-J e Fka Twigs per lo quel motivo ricorrente: troppi alti e bassi.
Chiudo con il tridente americano di Angel Olsen, Cloud Nothings e St.Vincent, altra combinazione eclettica da paura. Chapeau bas.
Ah, quasi dimenticavo, siamo solo fermi a nove. Dove sara’ finito il 10? Il decimo é stato senza dubbio uno dei primi tre che mi sono venuti in mente. La band si chiama Barbarisms ed ha fatto un capolavoro. Non metterlo fra i best dell’anno sarebbe un delitto. Un po’ come mettere il formaggio sulla ribollita. Un po’ come non fare le proprie scelte col cuore.
- Fear Of Men – Loom
- Barbarisms – Barbarisms
- The War On Drugs – Lost In The Dream
- Angel Olsen – Burn Your Fire For No Witness
- Caribou – Our Love
- Cloud Nothings – Here And Nowhere Else
- Alvvays – Alvvays
- St.Vincent – St.Vincent
- Douglas Dare – Whelm
- East India Youth – Total Strive Forever
PS: Serve un pezzo a chiudere il tutto, lo dedico a Mark Kozelek, al mio entusiasmo, ad uno dei più grandi songwriter viventi, Mark Everett.
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