Angel Olsen – My Woman

angel-olsen-my-womanYou’ll never be mine.

Chissà quante volte lo abbiamo pensato. Io di sicuro l’ho provato quando con il suo fare sfuggente Angel Olsen è passata sul palco dell’Electric Balroom di Camden. Ho amato talmente tanto Burn Your Fire for No Witness che mi fece male, trovarmi sedotto e abbandonato.

Fu fin troppo facile parlare male di quell’esperienza di 40 minuti o poco più. Ci andai con il mio compagno di concerti a Londra. Si chiama Mathieu, uno di quei parigini che ti fanno ricredere dell’arroganza che si attribuisce ai natii dell’Ile de France. Interessato a tutto, dal cinema alla musica, e con il quale ci siamo scambiati tanti favori musicali: io lo portai da EELS alla Royal Albert Hall lui da Gruff Rhys al Koko di Camden.

Per Angel Olsen andò diversamente.

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Ryley Walker – Golden Sings That Have Been Sung

Ryley-Walker-GSTHBS-Cover-980x980Certe cose ci portano altrove. A me succede ogni qualvolta ho un colpo di fulmine per un nuovo disco, un nuovo artista; succede ogni volta che prendo un taxi a Roma.

Lo scopro in un caldissimo pomeriggio di Agosto, uno di quelli in cui l’aridità della terra e la prepotenza del maestrale hanno giocato un ruolo fondamentale nel trasformare in barbecue 3300 ettari di vegetazione provenzale.

Ieri mi sono addormentato col “profumo” di pino bruciato e gli occhi pieni di fumo.

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Mutual Benefit – Skip A Sinking Stone

Schivare una pietra che affonda. E la mente comincia ad immaginarsi sommersa dall’acqua di mare, mi viene in mente quella dell’isola d’Elba – salata – che mi insegnò a nuotare solo. C’è un sasso che cade dolcemente, un movimento fluido ed ovattato che ricama alla perfezione i bordi dolci degli arrangiamenti di Jordan Lee.

Sono pochi gli artisti che ti fanno sognare e distaccare completamente dalla realtà.

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James Blake – The Colour In Anything

Ogni volta che penso a James Blake ho in mente un colore rosso arancione, con sfumature viola. È il colore del cielo sopra allo stage The Park di Glastonbury 2014.

Quello della volta in cui il sole tramontava fra le note di Retrograde, Overgrown e The Wilhelm Scream. La mia ragazza mi aveva lasciato solo per ascoltare Ellie Goulding. Io a correre fra lui e i Disclosure per non perdere i London Grammar e partire poi direttamente verso Londra. Evitare gli ingorghi e tornare a casa.

Ho pensato spesso a quella strada che guidava verso il futuro, alle due del mattino.

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Parquet Courts – Human Performance

Mi piace mettere le mani avanti, come diceva una mia amica abbastanza generosa nel prosperare (qui la spiegazione). E’ da qualche giorno che ho sempre in testa una canzone di Ligabue. Si, è uno dei miei guilty pleasure d’infanzia, ma ci sono parole che ancora oggi hanno un significato nella mia vita.  E anche se il tempo mi ha insegnato a rimanere ogni giorno in bilico fra lo scherno e la serietà, ci sono cose che vanno prese seriamente, come i dischi dei Parquet Courts.

Ogni volta che ascolto uno dei loro pezzi mi viene da pensare a quanto sarebbe triste (senza copyright) dover essere sempre seri. Immaginate quanto sarebbe banale dire tutto e farsi capire al 100%? Meglio prenderla come loro e non farsi capire mai. Senza per questo perdere di efficacia o di sincerità.

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