Le firme di TRISTE©: Francesco Amoroso racconta il (suo) 2023

Nel 2023 (che si è ormai concluso da oltre una settimana e sembra, musicalmente e non, lontano e seppellito nella memoria) il mio tentativo di scrivere un riepilogo della musica che ho ascoltato e amato (qui un riepilogo di EP e mini album del 2023) è naufragato -Tristemente, in maniera molto appropriata- tra mille impegni e incombenze e, soprattutto, nella scarsa vena che, da mesi, caratterizza il mio rapporto con la scrittura musicale.
Anche il 2023, così come era già accaduto l’anno precedente, è stato prodigo di ottimi album, con alcune vette (anche se non so -e poco mi importa- se tra questi ci sono album che verranno considerati, in futuro, “epocali”) e moltissimi lavori di pregevole fattura. Limitarmi a 100 non è stato affatto facile e, nuovamente, ho dovuto lasciare fuori almeno un’altra trentina di album che mi parevano validi quanto molti di quelli inclusi in questo -del tutto autoreferenziale- elenco.

Sarebbe necessario -e probabilmente questa sarebbe anche la sede adatta- a questo punto, fare una seria riflessione sulla centralità, negli anni 20 del ventunesimo secolo, dello scrivere ancora di musica, sulla sua rilevanza nella fruizione della musica stessa e sul valore culturale che possa avere farlo su una webzine (o un Blog, come si diceva una volta), ma ci vorrebbe tempo, voglia e, soprattutto, la convinzione che una tale riflessione avesse un senso e fosse di qualche interesse per qualcuno.

Il punto è che io stesso, per primo, non sono affatto convinto che sottrarre tempo e energie mentali agli impegni della vita quotidiana per raccontare la musica che mi appassiona e ancora mi fa battere il cuore, abbia più alcun senso.
Eppure, oltre alla necessità di condividere -una necessità che rimane sempre forte, quasi un’impellenza- continuo a sentire una sorta di obbligo morale nei confronti di musicisti che non si risparmiano e continuano a produrre musica fantastica senza, nella maggior parte dei casi, fare ragionamenti astratti (e astrusi) sulla necessità di fare musica e sulla centralità della loro opera nel contesto odierno.
E’ per loro, che a me danno tanto chiedendo così poco in cambio, che anche quest’anno mi sono quasi costretto ad arrivare a compilare un elenco degli album che più mi hanno colpito (anche se, stavolta, proprio non sono riuscito a scrivere diffusamente di tutti, pur provando a raccontare, in extremis, alcuni album a cui tenevo davvero molto).

Anche quest’anno alcuni degli album che ho visto osannati dappertutto non mi hanno in alcun modo coinvolto: il più delle volte perché, per genere, non sono vicini alla mia sensibilità, in altri casi, invece, perché si tratta di lavori che, nonostante potessero avere tutte le caratteristiche per piacermi, non hanno fatto scattare in me proprio nulla. A volte, naturalmente, basta una circostanza fortuita – un ascolto nel momento sbagliato o un’uscita in un periodo particolarmente affollato di interessanti novità discografiche- perché ciò accada, ma ho provato (anche in questi ultimi giorni) a recuperare qualcosa, senza risultati apprezzabili.
Ci sono poi gli album che non sono riuscito ad ascoltare o ad approfondire. Ne avrò persi tantissimi, ma ne ho ascoltati circa un migliaio e di più, umanamente, non posso fare.

Nel 2023 -insieme alla mia ispirazione a scrivere di musica- se ne sono andati tanti musicisti che ho amato molto e molto apprezzato: Andy Rourke, naturalmente, e Shane McGowan e Tom Verlaine. E tanti altri che mi hanno regalato chi fugaci, chi infinite emozioni. A tutti loro sono grato e sono certo che non li dimenticherò.
Con loro è andato anche un po’ di me.

Buona musica e chissà se ci sarà un riepilogo del 2024.

I VENTI PIU’ AMATI DEL 2023

The Clientele – I Am Not There Anymore

Alex Pester – Better Days

Anna B Savage – In|Flux

Sufjan Stevens – Javelin

The Declining Winter – Really Early, Really Late

Grand Drifter – Paradise Window

Fortunato Durutti Marinetti – Eight Waves In Search Of An Ocean

Cloth – Secret Measure

The Bathers – Sirenesque

Sam Burton – Dear Departed

Slowdive – Everything Is Alive

Maple Glider – I Get Into Trouble

Scott William Urquhart & Constant Follower – Even Days Dissolve

The Reds, Pinks & Purples – The Town That Cursed Your Name

Sigur Rós – Átta

James Yorkston, Nina Persson And The Second Hand Orchestra – The Great White Sea Eagle

Cindy – Why Not Now?

Tiny Ruins – Ceremony

Kara Jackson – Why Does The Earth Give Us People To Love?

The Smashing Times – This Sporting Life

Belle And Sebastian – Late Developers

Daniela Pes – Spira

Harp – Albion

Marta Del Grandi – Selva

Daughter – Stereo Mind Game

This Is The Kit – Careful Of Your Keepers

Junkboy – Littoral States

Sparklehorse – Bird Machine

Chris Brain – Steady Away

Jeffrey Martin – Thank God We Left The Garden

Vanishing Twin – Afternoon X

Rozi Plain – Prize

Mf Tomlinson – We Are Still Wild Horses

Nation Of Language – Strange Disciple

Modern Nature – No Fixed Point In Space

The Waeve- The Waeve

Susanne Sundfør – Blómi

Matt Maltese – Driving Just To Drive

Josephine Foster – Domestic Sphere

Kristin Hersh – Clear Pond Road

The Golden Dregs – On Grace & Dignity

Lisa/Liza – Breaking And Mending

Ethan P. Flynn – Abandon All Hope

Lewsberg – Out And About

Grian Chatten – Chaos For The Fly

Baxter Dury – I Thought I Was Better Than You

Pj Harvey – I Inside The Old Year Dying

Yo La Tengo – This Stupid World

The Lemon Twigs – Everything Harmony

Kelora – Gloomerald

World Atlas – Slow Love

Misophone – A Floodplain Mind

Montevale – A Single Sensibility

Seablite – Lemon Lights

Tony Jay – Perfect Worlds

Mitski – The Land Is Inhospitable And So Are We

Bonnie ‘Prince’ Billy – Keeping Secrets Will Destroy You

Mutual Benefit – Growing At The Edges

Doom Flower – Limestone Ritual

Do Nothing – Snake Sideways

Bdrmm – I Don’t Know

Red Pants – Not Quite There Yet

Scree – Jasmine On A Night In July

King Creosote – I DES

Emma Anderson – Pearlies

Blur – The Ballad Of Darren

Julian Never – Pious Fiction

Blonde Redhead – Sit Down For Dinner

Teenage Fanclub – Nothing Lasts Forever

Complete Mountain Almanac – Complete Mountain Almanac

Cut Worms – Cut Worms

Damien Jurado – Sometimes You Hurt The Ones You Hate

Raveloe – Exit Light

Alison Eales – Mox Nox

Rat Coulmns – Babydoll

Silver Biplanes – A Moment In The Sun

Lucinda Chua – Yian

Gnac – The Echoes On Departure

Bar Italia – Tracey Denim/The Twits

Angelo De Augustine – Toil And Trouble

The Murder Capital – Gigi’s Recovery

Emma Tricca – Aspirin Sun

Bailey Miller – Love Is A Dying

The Suncharms – Things Lost

Beach Fossils – Bunny

Gonzalez Smith – Roll Up A Song

Robbi Curtice – Nothing To Write Home About

Robert Forster – The Candle And The Flame

The Tubs – Dead Meat

Cormac O Caoimh – Where The World Begins

Julie Byrne – The Greater Wings

Swansea Sound – Twentieth Century

Mary Lattimore – Goodbye, Hotel Arcada

Allegra Krieger – I Keep My Feet On The Fragile Plane

Sun June – Bad Dream Jaguar

JFDR – Museum

The Jasmine Minks – We Make Our Own History

Special Friend – Wait Until The Flame Come Rushing In

Keaton Henson – House Party

Vines – Birthday Party

Recensioni (da Rockerilla)

Maple Glider – I Get Into Trouble
To Enjoy Is The Only Thing, uscito due anni fa, è stato l’incantevole debutto dell’australiana Tori Zietsch, in arte Maple Glider. Per la prestigiosa Partisan arriva ora I Get Into Trouble nel quale Zietsch si confronta in maniera spesso sfrontata con traumi e ferite del proprio passato. La crescita dell’australiana, soprattutto dal punto di vista del songwriting è evidentissima: in brani quali Do You, Dinah, Two Years o FOMO, ma soprattutto nella magnifica e appiccicosissima Don’t Kiss Me, Zietsch dimostra una sorprendente capacità di abbinare testi e tematiche complessi e disturbanti a melodie leggiadre e ritornelli smaccatamente pop. Gli arrangiamenti sono per lo più minimali e, nella seconda parte del lavoro, i toni si fanno più sommessi e intimi, ma Zietsch non rinuncia mai ad affrontare i propri fantasmi, riuscendo a esorcizzarli con determinazione, ironia e una inusuale dolcezza (che stride piacevolmente con l’esplicita aggressività sensuale dell’immagine di copertina). Maple Glider, con una voce dai toni caldi e vellutati, una scrittura personalissima e una visione del mondo disincantata ma mai cinica, si conferma autrice e interprete di razza, con il dono, assai raro, di coniugare impatto emotivo, fragile bellezza e straordinaria efficacia pop.

Vanishing Twin – Afternoon X
Quando si ascoltano i Vanishing Twin, il mondo tende a perdere i propri contorni. Il loro psych-pop retro-futuristico mi aveva già ammaliato e avvinto con The Age Of Immunology e, ancor di più, con il successivo Ookii Gekkou, e ora, a distanza di due anni esatti da quel saggio di sperimentalismo pop astratto, con Afternoon X, la band, ormai ridotta ai soli Cathy Lucas, Valentina Magaletti e Susumu Mukai, torna a riproporre la propria visione sonora cosmica e straniante. Forse a causa (o, meglio, per merito) del ridimensionamento nell’organico, il nuovo lavoro suona ancora più essenziale ed etereo, seppure ancora intriso di quel mix sonoro di psichedelia, avant-garde, lounge music, jazz spaziale e ipnotico post-punk. Guidati dagli impeccabili pattern di batteria di Magaletti, gli otto brani che compongono Afternoon X risuonano e vibrano liberi, stravaganti e godibili, tracciando nuove traiettorie sonore. Mentre la suite centrale, formata dalle lunghe Marbles e The Down Below, vede il trio londinese viaggiare verso un universo nel quale la psichedelia, l’elettronica più eterea e un folk immateriale si fondono per dare vita a sonorità aliene, altrove (la title track, Melty, Subito) gli stessi semi sonori permettono a composizioni più stringate e “pop” di germogliare rigogliose. Oltremondani.

Modern Nature – No Fixed Point In Space
Il terzo album dei Modern Nature di Jack Cooper riparte dalle sonorità e dalle tematiche già sviluppate con Island Of Noise del 2021, rallentandone i ritmi e rendendo la musica della band ancora più organica. Frutto di composizioni costruite improvvisando attorno a un canovaccio, i brani sono sono stati registrati dal vivo e incisi direttamente su nastro. Il risultato è complesso, imprevedibile e, a tratti, spiazzante anche se non mancano melodie appena accennate e passaggi suadenti. Fiati, percussioni, archi e la flebile voce di Cooper sono ancora il fulcro dei sette lunghi brani che si evolvono lenti e vibranti. I Modern Nature più che una formazione rock, sono oramai da considerare un vero e proprio ensemble che sviluppa i propri pezzi tra strutture cameristiche e suggestioni jazz. La loro è definitivamente musica astratta dalla costruzione libera, pur se riconoscibilmente basata sulla forma canzone. Non è un caso, in questo senso, che la leggendaria Julie Tippetts (Driscoll) contribuisca a molti dei brani con la sua inconfondibile voce, duettando con Cooper o, come nella traccia di chiusura Ensō, ergendosi a voce solista. È la tensione tra inquietudine e grazia a informare l’atmosfera dell’album che sembra essere un punto di arrivo per Cooper e soci. Il vertice della loro già brillantissima discografia.

Ethan P. Flynn – Abandon All Hope
Ethan P. Flynn, giovane musicista e produttore, nato nello Yorkshire ma ormai londinese d’adozione, è da qualche tempo sulla bocca di tutti, soprattutto per le prestigiose collaborazioni con David Byrne, FKA Twigs e Jockstrap. Abandon All Hope, il suo debutto, composto da otto canzoni eclettiche e piene di personalità, è un lavoro fresco e maturo allo stesso tempo, che si riallaccia esplicitamente, nella struttura e nello sviluppo narrativo, al grande cantautorato degli anni ’70 di Randy Newman e Neil Young, ma che, musicalmente, è decisamente eterogeneo. Per raccontare, attraverso storie e personaggi surreali, sentimenti, dubbi e paure di una generazione che ha perso in fretta la speranza, Flynn intesse trame sonore imperniate sulla chitarra, senza lesinare arrangiamenti elaborati (Clutching Your Pearls), evocativi passaggi acustici (In Silence, No Shadow), sfumature psichedeliche (Leaving The Boys Behind), lampi di appassionata crudezza (Abandon All Hope, Demolition) e composizioni grandiose e barocche. I quasi diciassette minuti di Crude Oil, tra tocchi jazz, suggestioni folk, pianoforte e riff hard rock, sono un saggio della sua precoce maturità di scrittura. Accompagnata spesso dalle vocalità cristalline della compagna Ava Gore, la voce espressiva e dall’accento sorprendentemente americano di Flynn caratterizza un esordio ambizioso e decisamente a fuoco. E questo è solo l’inizio!

Bonnie ‘Prince’ Billy – Keeping Secrets Will Destroy You
Si è perso il conto del numero di album che Will Oldham ha inciso (a suo nome, come Palace Music o con il suo pseudonimo più prolifico, Bonnie ‘Prince’ Billy) in trenta anni di carriera. Eppure, confessiamolo, a ogni uscita la speranza è che il nuovo lavoro riesca a rivaleggiare in pathos e maestria compositiva con gli album usciti tra la seconda metà degli anni novanta e i primi anni del nuovo millennio. Da qualche tempo, tuttavia, nonostante il livello di scrittura del nostro sia sempre elevato, nei suoi lavori manca sempre qualcosa. A Keeping Secrets Will Destroy You -che esce a quattro anni di distanza dal buon I See A Place, suo ultimo album solista ufficiale- invece non manca assolutamente nulla: è un album di Bonnie ‘Prince’ Billy in ogni sua nota, dalle chitarra spartane fino al magnifico call-n-response tra la voce inconfondibile di Will e quella femminile di turno (stavolta quella di Dane Waters), dagli arrangiamenti di archi al mandolino, fino alla lap steel guitar. Registrato a Louisville con un nutrito gruppo di musicisti locali, Keeping Secrets Will Destroy You ha, soprattutto, le canzoni. Canzoni belle e terribili, scritte e arrangiate magnificamente e che fanno venire i brividi e commuovono. Bentornato Will.

Mutual Benefit – Growing At The Edges
Il cantante, compositore e polistrumentista newyorkese Jordan Lee, in arte Mutual Benefit, ritorna a cinque anni da quel Thunder Follow The Light che, nonostante rappresentasse il terzo centro su tre uscite, ne decretò, in qualche modo, la marginalità, anche a causa di alcuni ingenerosi giudizi (dovuti probabilmente più alla ostilità nei confronti del folk barocco di Lee, che all’ effettivo valore dell’album). Growing At The Edges segna, così, una sorta di nuovo inizio e i dieci brani che lo compongono, pur non discostandosi troppo dalle sonorità che hanno finora caratterizzato la produzione di Lee, presentano spunti di originalità grazie a influenze country più esplicite e al coinvolgimento, per la prima volta, di un co-produttore, il polistrumentista Gabe Birnbaum, che contribuisce ad allargare gli orizzonti sonori dell’album. Arrangiati dalla violinista newyorkese Concetta Abbate, gli archi giocano ancora una volta un ruolo fondamentale nella costruzione delle emozionanti e sopraffine melodie che caratterizzano le canzoni di Mutual Benefit che, talvolta, prendono svolte sonore inaspettate, acquisendo nuances jazz e insistendo sul versante orchestrale. Con Growing At The Edges Lee riesce ancora una volta a catturare “il suono della magia dei momenti ordinari”. E a frantumare anche il cuore più coriaceo.

King Creosote – I DES
Secondo una stima (piuttosto prudente) Kenny Anderson, da Fife, Scozia, ha pubblicato, a nome King Creosote, oltre 100 album. Nonostante sia trascorso più di un decennio da quando, con Jon Hopkins, ha sfornato il capolavoro Diamond Mine, Anderson non demorde e, sebbene con minore frequenza, continua a pubblicare album che si muovono tra ballate agrodolci, sperimentazioni ipnotiche, gige sfrenate e inni elegiaci, sempre in equilibrio tra sperimentazione e tradizione, tra chitarre acustiche e sintetizzatori saturi. Anche nel suo nuovo lavoro, I DES, (il cui titolo potrebbe riferirsi al collaboratore principale dell’album, Derek O’Neill aka Des Lawson, essere l’anagramma di “dies” o un riferimento alle idi di marzo) il Re Creosoto riflette sulla vita, la morte, l’universo, l’arte e l’amore. Che si tratti dei brani già pubblicati lo scorso anno, la scatenata Susie Mullen e la dolcissima Walter de la Nightmare o dei trentasei minuti di Drone in B#, della brevissima Love is a Curse, della straziante Ides o della lunga cavalcata emotiva di Please Come Back …, tra vibrafoni, fisarmoniche, archi elettronici, campionamenti, cornamuse, vecchie registrazioni analogiche e la voce singolare e suggestiva di Anderson, è facile perdersi di nuovo nella meraviglia delle sue canzoni uniche e così inconfondibilmente scozzesi.

Bar Italia – The Twits
Solo un anno fa il trio londinese composto da Nina Cristante, Jezmi Tarik Fehmi e Sam Fenton era uno dei segreti meglio custoditi della scena indie inglese. Ora, dopo che l’esordio “ufficiale” Tracey Denim li ha rivelati al mondo come uno dei nomi più chiacchierati e in ascesa, gli inglesi tornano con un nuovo album, The Twits, scritto e registrato in sole otto settimane con l’aiuto, in fase di missaggio, di Marta Salogni. Il nuovo lavoro -e non potrebbe essere altrimenti, visto che esce a soli quattro mesi di distanza dal suo predecessore- non si discosta troppo dalle sonorità di Tracey Denim, ma è evidente che la scrittura dei tre londinesi abbia fatto un notevole salto di qualità. La produzione volutamente lo-fi si giova molto della maestria di Salogni e le canzoni si fanno più articolate e incisive. Non mancano passaggi fulminanti come my little tony, world’s greatest emoter o real house wibes, ma sono i brani più riflessivi, quali il lento valzer di twist, l’ipnotico lamento di shoo o la psichedelia avvolgente di Hi-fiver, quelli che maggiormente convincono e avvincono. Sempre propulsivi e immediati, con The Twits, Cristante, Fehmi e Fenton dimostrano come, partendo da una buona idea, si possa evolvere sino a diventare, in breve tempo, una consolidata realtà dell’indie internazionale.

Angelo De Augustine – Toil And Trouble
Angelo De Augustine, allievo prediletto ed emulo di Sufjan Stevens torna, a due anni da A Beginner’s Mind -la sua collaborazione con il maestro- con il quarto album solista. Con Toil and Trouble l’artista californiano – che ha impiegato quasi tre anni per la sua scrittura- tenta di dare un senso in musica alla follia del mondo, e lo fa nell’unico modo che conosce: grazie a canzoni delicatissime, quasi impalpabili, che tentano di esorcizzare il dolore attraverso la bellezza e i sentimenti più puri. Plasmato in assoluta solitudine, ma con l’utilizzo di una strumentazione ricchissima (e spesso bizzarra: celesta, xilofono di vetro, sintetizzatori vintage, mellotron) e di field recordings, Toil and Trouble è un lavoro semplice solo di primo acchito, ma racchiude in sé sonorità articolate e, popolato da personaggi di fantasia, ma sempre presenti nell’immaginario di massa (Peter Pan e Christopher Robin, solo per fare due nomi), racconta di sparatorie di massa, rapimenti alieni, sirene, universi paralleli, dolore e sollievo. Con questo album, pur permanendo le similitudini (anche nel modo di cantare sussurrato e armonioso) con l’illustre mentore, De Augustine si afferma come cantautore e compositore di primissimo piano.

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